martedì 30 novembre 2010

VIVENDO CON IL NEMICO

Donna Ferrato ha una voce piccola, leggera, timida. Ma tanta modestia non riesce a celare la determinazione che l'ha resa fotografa scomoda e acclamata, autrice di progetti destabilizzanti, che suscitano domande necessarie e reazioni forti. Statunitense, fin dai suoi esordi obbedisce al bisogno di documentare senza mezzi termini, con foto dal forte impatto cronachistico, gli orrori che si nascondono in famiglie che sono grovigli di vipere, in appartamenti più simili a stanze della tortura che a luoghi di civile e amorevole convivenza.

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Il suo libro Living with the enemy negli Stati Uniti ha venduto oltre 40 mila copie: un succèss de scandale che ha diviso l'opinione pubblica tra entusiasti sostenitori e accesi detrattori

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"la mia fotografia non è arte.
Perché l'arte non fa mai male: può provocare, certo, ma contiene quella dose di finzione e di rappresentazione menzognera che alla fine rassicura. Io non voglio rassicurare, ma smuovere le coscienze attraverso temi che per troppo tempo non hanno avuto volto, carne, sangue. Ancora: perché nei miei scatti non c'è un punto di vista. Ma sono oggettività pura, realtà senza mezzi termini.”

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“Non metto in scena niente, non cerco galleristi che ospitino e vendano le mie fotografie, non cerco musei o sedi deputate. Cerco di esporre i miei scatti là dove possono essere socialmente, moralmente, culturalmente utili. A Lucca, la mostra è organizzata con la Caritas".
Quegli scatti sono ora esposti nell'omonima mostra in corso a Lucca, nell'ambito del LuccaDigitalPhotofest, a Palazzo Guinigi che fino al 12 dicembre (lun – ven 15,00 – 19,30; sa, do e 8 dicembre  10,00 – 19,30)
"Le mie foto  sono un grido d'allarme lanciato da voci innocenti che invocano aiuto e gridano tutta la loro rabbia.  Quell'indice accusatore è l'espressione sincera e viscerale di quanto la violenza sui minori sia un riflesso della violenza sulle donne, su una maternità così debole e maltrattata da non saper difendere i propri frutti. Vengono versati fiumi di inchiostro riguardo la violenza sui minori. Ma io sono convita che un'immagine valga più di mille parole. Le fotografie permettono a chi le osserva un'identificazione profonda con il soggetto che è reale, e quindi suscita un sentimento, un'emozione. Il bianco e nero amplifica questo invito all'immedesimazione. I colori mettono in risalto dettagli che distraggono".

http://www.donnaferrato.com/
http://www.abuseaware.com/
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I VOLTI DELL'ALZHEIMER

fotografati da Alex Ten Napel

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Un volto dice un sacco di cose di una persona, sia quello che vuole mostrare di se in modo più o meno consapevole, sia quello che omette per libera scelta o per ragioni che sfuggono alla sua volontà, soprattutto se questa è rosicchiata da malattie e cure che compromettono memoria e lucidità.

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Per questa ragione Alex Ten Napel ha cominciato a fotografe i pazienti affetti da Morbo di Alzheimer che assisteva come infermiere in un casa di cura di Amsterdam, dando vita ad una gallery di ritratti, emozioni e reazioni a questa grave forma di demenza degenerativa che travolge l’esistenza, e della quale si ignorano ancora cause, terapie o una comprensione anche solo accettabile.

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Parliamo di ritratti di uomini e donne che dimenticano gran parte della loro vita ma non smettono di sentire o provare emozioni, di volti che tempo fa sono stati raccolti in un libro e in una mostra a cielo aperto sulle pareti della clinica, ma propongo in questa gallery per ricordare chi dimentica e ‘non dimenticare’ quanto è importante guardare in faccia le persone, sempre, soprattutto quando non le capiamo ..

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lunedì 29 novembre 2010

L’ITALIA POVERA

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L'Italia di allora: miseria e fame Nella foto, una coppia di vecchi immortalata a Prato nel 1890. Secondo l'inchiesta Jacini sul mondo agricolo, pubblicata a partire dal 1880, "nelle valli delle Alpi e degli Appennini, ed anche nelle pianure, specialmente dell'Italia meridionale, e perfino in alcune provincie fra le meglio coltivate dell'Alta Italia, sorgono tuguri, ove in un'unica camera affumicata e priva di aria e di luce, vivono insieme uomini, capre, maiali e pollame. E tali catapecchie si contano forse a centinaia di migliaia".

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Quei filo' nelle stalle Nella foto, un antico filò, cioè una veglia serale in un angolo della stalla. Si legge nella relazione dell'inchiesta Jacini: "La stalla è la parte principale della casa del contadino, è ad un tempo il luogo del bestiame, il salone e il santuario della famiglia. È nella stalla che si passano i lunghi inverni; è là che la padrona di casa riceve parenti e amici; là la famiglia lavora, si ricrea, mangia e dorme. Intanto che le donne cuciono, rappezzano o filano, gli uomini giuocano alle carte o se la passano discorrendo".

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La pellagra: troppa polenta Un malato di pellagra: dovuta al consumo eccessivo di polenta (33 chili pro capite di farina l'anno ma la media era nettamente più alta nelle regioni del nord) era la malattia delle tre D: dermatiti, diarrea, demenza. Il principale pellagrosario italiano era a Mogliano Veneto, tra Venezia e Treviso.

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Vino ai bambini: "fa sangue" Era così dura vivere nelle campagne padane e nella pedemontana veneta o lombarda che là dove c'erano le vigne i contadini integravano la dieta troppo povera a base di polenta "insaporita passandoci sopra un'aringa" con il vino: "El vin fa sangue". Secondo "La Rivista Veneta di scienze mediche", citata da Edoardo Pittalis nel suo libro "Dalle Tre Venezie al Nordest", a cavallo tra Ottocento e Novecento, su 12 mila allievi delle elementari della provincia "soltanto tremila non bevono, cinquemila bevono superalcolici, novemila bevono regolarmente vino e la metà ne abusa".

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Le lavandaie del Ticino Nell'immagine a cavallo tra Ottocento e Novecento, un gruppo di lavandaie al lavoro sotto il celebre Ponte Coperto: i quadri più antichi e le fotografie scattate ancora nella seconda metà del XX secolo mostrano come il mestiere, gli attrezzi e i costumi siano rimasti invariati nei secoli.

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Milano prima del miracolo Nella foto scattata prima della demolizione avvenuta tra il 1882 e il 1890, l'antico lazzaretto di Milano, di cui resta la chiesa (oggi San Carlo) e qualche pezzo in via San Gregorio: fino all'abbattimento il veccho edificio semidiroccato era occupato da decine di famiglie povere e la chiesa serviva da fienile. Perfino in provincia di Milano, secondo l'inchiesta Jacini, le stalle "di solito sono piccole, basse tenute chiuse con molta cura, massime d'inverno, troppo umide, sudice, fetenti e ovunque ingombre di ragnatele, le quali a detta di bifolchi sono necessarie per accalappiare le mosche. E in cotesti schifosi siti i contadini passano d'inverno gran parte del giorno, e tutte le lunghe sere!".

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La "tratta dei bianchi" La povertà negli ultimi decenni dell'Ottocento era tale, spiega Marco Porcella nel libro "La fatica e la Merica", che una fonte di guadagno "dovuta totalmente al sacrificio delle donne contadine" era allevare gli orfani al posto dello stato: "Erano quasi sempre illegittimi abbandonati (esposti) alla Ruota, che nelle città maggiori non mancava mai. Nei paesi, in mancanza della Ruota, li abbandonavano (o fingevano di abbandonarli) sui gradini delle chiese, sull'uscio del parroco o, in seguito, nelle mani della levatrice. (...) Una buona parte degli esposti, deboli, denutriti, infreddoliti, prematuri, moriva nei primi giorni. Per i sopravvissuti si calcolava come normale - in assenza di epidemie e circostanze eccezionali - una mortalità del 33 %. In maggioranza prendevano la via dei mon­ti, perché le balie contadine, a differenza di quelle cittadine, aveva­no superato, per abitudine e per necessità, il " pernicioso pregiudi­zio " che invece si diceva trattenesse quelle cittadine. Si credeva che il " figlio della colpa " trasmettesse alla nutrice, e quindi al fratello di latte, figlio legittimo, malattie immonde e terribili come la sifili­de, che in verità veniva diagnosticata come causa di morte o di gravi menomazioni nel 10% degli esposti. (..) Trascorso l'anno l'infante " da latte " diventava infante " da pane " e poteva essere allevato fino al dodicesimo anno d'età, dopo il quale l'ospedale cessava di corrispondere qualsiasi retta".

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Veneto, dolore e spavento La relazione del medico condotto Luigi Alpago Novello che aveva lavorato tra i contadini trevigiani nella seconda metà dell'Ottocento, all'epoca in cui fu scattata questa foto a una famiglia vicentina, toglie il respiro: "Gli individui di una famiglia di contadini sono valutati in ragione dell'utile che apportano. La morte di quelli che sono impotenti o poco adatti al lavoro o giacciono a letto da qualche tempo è un fatto che ha minore importanza e cagiona molte volte minor dolore della morte, non dirò di un grosso animale bovino, ma anche di una semplice pecora. (...) Se si ammala un bovino la famiglia si butta nella disperazione corre dal veterinario (se la cura è gratuita) o da un empirico ed eseguisce tutte le operazioni appuntino... Spesse volte si percorrono molti chilometri per chiamare il veterinario affinché venga a visitare un vitello "che ha poca voglia di mangiare"; si lasciano invece ammalarsi e morire i bambini senza far appello al medico o senza per lo meno eseguire le di lui prescrizioni".

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Contadini, vita grama Nella foto della Fondazione Cresci, una famiglia contadina di Fosciandora, in Garfagnana, all'inizio del Novecento. I progressi della medicina e le prime campagne per l'igiene fanno salire nel 1911 l'età media dei morti dal dato spaventoso di sei anni e mezzo degli ultimi decenni dell'Ottocento a 30 anni, ma la mortalità infantile resta altissima. In quello stesso 1911 i bimbi sotto i 5 anni rappresentano il 38% del totale dei morti: 285 mila su 742 mila.

da : Gian Antonio Stella
       ODISSEE
      Italiani sulle rotte del sogno e del dolore

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THISHUMANITY

Matteo Basilé

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Prospettiva e percezione, tra i fattori responsabili del modo nel quale ‘vediamo’ il mondo, tanto reale quanto immaginario, possono essere influenzati da tanti fattori e meccanismi, ieri come oggi.

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È stato proprio guardando al trittico della Battaglia di San Romano di Paolo Uccello, e alle tecniche prospettiche che creano visioni multiple all’interno della stessa scena statica di eserciti pronti alla battaglia, che Matteo Basilé ha realizzato Thishumanity.

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Regole prospettiche rivoluzionarie per la pittura quattrocentesca, che il digitare di Basilè ha utilizzato per creare il frame successivo, lo scontro fisico, di una battaglia combattuta al femminile nel sud est asiatico, dove da tempo l’artista italiano vive e lavora.

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THISHUMANITY

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Fonte
http://www.matteobasile.com/index/
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domenica 28 novembre 2010

BASQUIAT, LA PARABOLA DI UN MITO IN MOSTRA A PARIGI

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Cadillac Moon, 1981, Acrylique et crayon sur toile, 162 x 172 cm, Collection Bischofberger, Suisse

Al Musée d’Art Moderne di Parigi è in corso fino al 30 gennaio una vasta retrospettiva sull’artista statunitense Jean Michel Basquiat, in occasione dell’anniversario del cinquantesimo anno dalla sua nascita.
Passato dall’arte di strada alle arti plastiche e divenuto la vedette della nuova pittura, in controtendenza con l’arte minimal e concettuale, Jean Michel Basquiat è nato a Brooklyn nel 1960 ed è morto a New York nel 1988 in seguito ad un overdose di eroina. Di origine portoricana e haitiana Basquiat ha saputo creare un immaginario che mescola generi e pratiche differenti come il fumetto, la pubblicità, la Bibbia ed i suoi eroi afro-americani musicisti e sportivi, definendo una contro cultura urbana, violenta ed anarchica.

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Untitled (Fallen Angel), 1981, Acrylique, pastel gras et peinture à l’aérosol sur toile, 168 x 197,5 cm, Fondation d’Entreprise Carmignac Gestion, © The Estate of Jean-Michel Basquiat, © ADAGP, Paris 2010

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Boy and Dog in a Johnnypump, 1982, Acrylique, pastel gras et peinture à l’aérosol sur toile, 240 x 420,5 cm, Courtesy The Brant Foundation, USA, © The Estate of Jean-Michel Basquiat, © ADAGP, Paris 2010

Quella di Parigi è una retrospettiva completa e quasi didattica che scandisce sala dopo sala tutte le fasi della sua crescita artistica, dall’epoca di Samo ©, 1978 all’incontro con Warhol nel 1982, passando per le più importanti esposizioni internazionali che lo hanno reso celebre, fino agli ultimi anni di vita. Con un allestimento classico da white cube ed un ordinamento cronologico, il genio di Basquiat viene raccontato a Parigi da opere - più di cento cinquanta- stravaganti ed eccessive, ma sempre debitrici della sua eccezionale energia creativa.
Graffitista di nascita, alla fine degli anni Settanta inventa una pseudo-religione - condivisa con il suo amico Al Diaz - che appare nelle sue opere con le sembianze di sentenze critiche, Samo © - Same Old Shit - “marchio”con il quale firma i suoi primi lavori fino al 1981, Cadillac Moon 1981. Basquiat si impone da subito sulla scena artistica contemporanea con i suoi elementi figurativi ed espressivi inediti, rivendicando il gusto per l’innocenza e la spontaneità del segno, ma anche l’uso di una figurazione violentemente espressiva. Questi sono i primi anni della sua ascesa, raccontati nelle prime sale della mostra, ma questi sono anche gli anni della Trans-avanguardia in Italia e della Figuration libre in Francia.
Consumismo, violenza e identità sono i temi che Basquiat ha sempre affrontato attraverso la sua produzione artistica. Temi che traspaiono lungo il percorso espositivo scandito dai momenti salienti del suo successo:  il passaggio dal Graffitiamo alla Pittura su tela, testimoniato da Fallen Angel 1981 o da Boy and Dog in a Johnnypump 1982; il successivo ricorso a materiali ed oggetti quotidiani come in Cassius Clay1982, o in Refrigerator 1981 dove utilizza un frigorifero rotto sul quale incide dei disegni;  i primi Ateliers, come quello a SoHo e le esposizioni più importanti, come la prima personale a New York nel 1982 presso la galleria Annina Nosei e quella alla Gagosian Gallery di Los Angeles nel 1982, tappe fondamentali della sua parabola ascensionale.

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Cassius Clay, 1982, Acrylique et pastel gras sur toile sur palette de bois, 106 x 104 cm, Collection Bischofberger, Suisse, © The Estate of Jean-Michel Basquiat, © ADAGP, Paris 2010

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Untitled (Refrigerator), 1981, Acrylique, marqueur et collage sur réfrigérateur, 140 x 64 x 57 cm

La pluralità dei materiali e delle tecniche impiegate – caratteristica molto evidente in alcune delle opere in  mostra come Portrait of the Artist as a Young Derelict 1982 (acrilico, olio, matita, legno e metallo) o Grillo1984 (acrilico, olio, collage e matita) - è senza dubbio il tratto dominante della sua ricerca estetica: una mescolanza di disegni, scrittura e collage impiegati  senza preoccupazione di gerarchie e con un tratto sempre istintivo della linea, dove la scrittura è associata a dei simboli quali testimonianza del suo impegno politico, economico e sociale.
L’incontro con Andy Warhol chiude la mostra. Avvenuto nel 1982 grazie a Bruno Bischofberger, segna un periodo di intensa collaborazione tra i due, il cui sodalizio porta al risalto dei caratteri pitturali dell’artista Pop attraverso segni e simboli tipici di Basquiat, come dimostra, 6.99 del 1985, una delle opere realizzate insieme. L’ultima sala del museo, dedicata al periodo prima della morte, mostra le sue ultime opere, in cui i colori scuri e le composizioni estreme, completamente vuote o totalmente sature, lasciano trasparire ancora oggi un triste anelito premonitore.
Si chiude così la mostra e con essa la parabola di una celebrità, una celebrità talmente strepitosa da rasentare quasi il mito.

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Portrait of the Artist as a Young Derelict, 1982, Acrylique, huile et crayons gras sur bois et métal, 203,2 x 208,3 cm, Collection particulière, Paris, Courtesy Galerie Jérôme de Noirmont, © The Estate of Jean-Michel Basquiat, © ADAGP, Paris 2010

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Grillo, 1984, Acrylique, huile, collage de photocopie, crayon gras, et clou sur bois, 45,7cm x 243,7 x 537 cm, Fondation Louis Vuitton pour la Création, © The Estate of Jean-Michel Basquiat, © ADAGP, Paris 2010

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Andy Warhol et Jean-Michel Basquiat, 6.99, 1985, Acrylique et pastel gras sur toile, 297 x 420 cm, Collection Bischofberger, Suisse, © The Estate of Jean-Michel Basquiat, © ADAGP, Paris 2010

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Andy Warhol, Jean-Michel Basquiat, 1982, Courtesy Galerie Bruno Bischofberger, Zurich, © The Andy Warhol Foundation for the Visuals Arts, Inc, © ADAGP, 2010

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Jean-Michel Basquiat dans son atelier de Great Jones Street, New York, 1985 devant Untitled, 1985, Acrylique et pastel gras sur bois, 217 x 275,5 x 30,5 cm (détail), Collection particulière, Photo: © Lizzie Himmel, © The Estate of Jean-Michel Basquiat, © ADAGP, Paris 2010

Maddalena Rinaldi
Vai alla sede: Musée d’Art Moderne di Parigi
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