martedì 19 maggio 2009

LES NYMPHÉAS 1887- 1923

"Giverny/ è stato per me un atto di fede/ un atto di amore / e di umiltà" (Claude Monet)
“Potete constatare, come in un microcosmo, l’esistenza degli elementi e l’instabilità dell’universo che si trasforma, in ogni minuto, sotto al nostro sguardo”.
E' ciò che scrive Claude Monet guardando il suo stagno che realizzò nel 1890 nel giardino giapponese della sua casa a Giverny, attraversata da un piccolo fiume, l’Epte, dal quale fece confluire l’acqua per lo stagno. L’instabilità della luce, del movimento dell’acqua e degli effetti atmosferici hanno sempre affascinato il maestro, pensando al dipinto “Impression, Soleil Levant” del 1872. E sebbene vi siano pareri contrastanti riguardo alla sua ultima produzione, quella delle “Nympheas”, per cui da una parte alcuni ritengono che il dissolvimento della forma sia dovuto ai problemi di cataratta del pittore - oramai ultra settantenne - mentre altri, che pur concordando, la definiscono tuttavia un’evoluzione stilistica del padre degli Impressionisti. Basta guardare, appunto, all'opera "La barque" del 1887, esposta a Milano, per rendersi conto che ben prima del suo problema agli occhi, Monet stava intuendo qualcosa di nuovo nello sviluppo e nelle possibilità compositive e del colore.

MOSTRA - La mostra ideata e curata da Claudia Zevi & Partners presenta una ventina di opere dedicate al tema delle ninfee che il maestro ha dipinto tra il 1887 e il 1923, accompagnate da un'ampia documentazione fotografica con immagini coeve del giardino di Giverny. In mostra sono esposte, a rotazione, 56 stampe di Hokusai e Hiroshige, provenienti dal Museo Guimet di Parigi, che testimoniano quanto il maestro fosse non solo influenzato dalle stampe giapponesi ma anche uno dei maggiori collezionisti contando fino a 276 stampe nella tradizione ukiyo-e (mondo fluttuante). "Era interessato - come riporta una nota alla mostra - alla lettura del paesaggio e della natura attraverso un loro frammento e la serialità delle vedute: dal Monte Fuji, i fiori di Hokusai alle acque e ponti di Hiroshige". Il confronto tra l’idea di paesaggio nell’arte giapponese e le opere del Maestro è infine impreziosito da una serie di fotografie dell’Ottocento, dipinte a mano, di giardini giapponesi, che influenzarono il pittore nel costruire il proprio giardino come un'opera d'arte elaborata negli anni e attraverso le stagioni: ricrea le atmosfere del sol levante costruendo un ponte giapponese sopra lo stagno, oppure ne rievoca le immagini attraverso la selezione stessa delle piante, degli alberi e dei fiori che ha curato diligentemente, nell’accostamento dei colori, del glicine che si arrampica sul ponte, e infine orchestrandone, magari sulle note di Claude De Bussy, perfino le prospettive che inquadrano in maniera lirica la ricaduta dei rami dei salici.

OLTRE LA MATERIA - Poeta della luce e dei fiori, Monet alla fine degli anni Ottanta dell'Ottocento si ritira nella sua casa a Giverny, alle porte di Parigi. Esplora la bellezza delle piante, le tonalità che si riflettono nelle ore del giorno, dall'alba al tramonto alla fluorescenza notturna; le discordanze dei colori primari e complementari che nella natura si rivelano grazie alla luce. "Il giardino di Monet occupa un posto rilevante tra le opere dell’artista. In esso si realizza infatti il miracolo di una natura che si adatta allo sguardo del pittore della luce: prosecuzione all’aperto dello spazio dell’atelier del pittore, ma anche tavolozza di colori sparsi a profusione per esercitare l’occhio, essa vibra di stimoli per la gioia di una retina febbricitante e sempre assetata di nuovo", scriveva Georges Clémenceau. Paesaggi di acqua e di luce che Monet dichiara essere diventati un'ossessione per lui. L'astrazione progressiva presente nella serie delle Ninfee, dalle prime opere come "Nymphéas, effet du soir" del 1897, conservata al Musée Marmottan, alla serie decorativa di pannelli che realizza dal 1916 al 1926, anno della sua morte, di dimensioni gigantesche e che vuole devolvere allo Stato francese. "Caro e grande amico, sono sul punto di terminare due pannelli decorativi, che voglio firmare e datare nel giorno della Vittoria, e ti vengo a chiedere di offrirli allo Stato per tua mediazione", scriveva Monet a Clémenceau, il 12 novembre 1918, riferendosi all'Armistizio della Prima guerra mondiale, firmato l'11 novembre. Motivi di pura luce, di riflesso e di materia del colore che lentamente prendo il sopravvento sul pennello del pittore. Prospettive ambigue che tendono lentamente alla verticalizzazione del punto di fuga e al suo appiatimento in superifice, ai confini tra piano tridimensionale e bidimensionale. Un'opera faraonica con la quale Monet ribadisce il suo ruolo non solo di "padre dell'impressionismo" ma anche dell'otticità della pittura. In un momento storico in cui ormai il panorama artistico è predominato dalle avanguardie del Novecento, Monet è riuscito ancora una volta a stare al passo con il tempo, e a proiettarsi in una linea delle linguaggio pittorico che connoterà la scuola dell'espressionismo americano dopo la Seconda guerra mondiale. L'aveva vista lunga Clémenceau quando sempre a proposito della serie delle ninfee di Monet dichiarava: "La nostra reazione alla superficie di ciò che è visibile sono quasi istantanee, il che ci permette di adattare comunque l’oggetto al soggetto, e questa è la prima condizione dell’arte del dipingere (...). Uno dei vanti dell’arte moderna sta nell’avere scoperto che anche una landa desolata può divenire, attraverso il gioco alternato delle luci e delle ombre, la fonte feconda delle più grandi emozioni estetiche". Effetti che Monet definisce essere ipnotici, elaborati nel silenzio della contemplazione. Ma questa ricerca per il pittore era qualcosa che andava oltre alla realtà percepibile, per lui era qualcosa che andava oltre i suoi poteri di vegliardo che dichiarava: "et malgré tout je veux réussir à traduire ce que je ressens. J'en détruis certains... Je recommence encore... et j'espère que quelque chose finira par sortir de tant d'efforts". (malgrado tutto volgio riuscire a tradurre quel che sento. Ne distruggo alcuni.. ricomincio di nuovo.. e spero che qualcosa uscirà fuori dopo tanti sforzi).
Carlotta Degl’Innocenti
In pillole:Monet. Il tempo delle ninfee
30 aprile – 27 settembre 2009
Palazzo Reale Piazza Duomo, 12 Milano
Orari: da martedì a domenica ore 9.30-19.30; lunedì ore 14.30-19.30; giovedì ore 9.30-22.30.
Info e prenotazioni: tel. 199.199.111 - 02.4335.3522

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