Dash Snow l'ultimo maledetto
Performer, fotografo e graffitaro è morto di overdose a 27 anni il 13 luglio scorso. Il suo mondo in una mostra a Roma
Quando Kathy Grayson, curatrice newyorchese di mostre d’arte, nel 2002, durante una performance, vide irrompere all’improvviso, non previsto, sulla scena, un giovane che iniziò ad aggrapparsi al performer, ad abbracciarlo e ad urlare, chiese, «ma chi è quel pazzo?». Le risposero, «Dash Snow».
«Distrusse completamente la performance - ricorda - ma in senso buono… E ora penso a Snow come a una delle maggiori menti creative, capace di creare le situazioni più belle, le più divertenti». Ma anche quelle più trasgressive e pericolose. Almeno per sé stesso, tanto da esserne alla fine travolto, morendo a soli ventisette anni nell’autunno scorso, nuova incarnazione dell’artista maledetto. Da Caravaggio a Rimbaud e Verlaine, fino a Basquiat, «l’artista maledetto» è figura controversa, che vive con grande, spesso troppa intensità e sempre al limite. Proprio come Snow.
Spirito indipendente e ribelle, dai 13 ai 15 anni viene rinchiuso in un penitenziario minorile per furto e subito dopo va via di casa. Mantiene ottimi rapporti con la nonna e con suo padre ma non con sua madre e ha una complicata storia familiare di cui nessuno vuol parlare. Ma sua nonna è Christophe de Menil e appartiene a una delle famiglie più prestigiose del Paese (sono definiti i Medici d’America) che ha dato vita a quel tempio dell’arte contemporanea che è la Menil Collection di Houston, nonché commissionato la meravigliosa Cappella Rothko. «Una signora fantastica - dice Kathy Grayson -, gli ha salvato la vita un milione di volte. Gli è stata sempre vicina. Lo ha sempre incoraggiato ad essere sé stesso, a fare la sua arte, a vivere».
Dash diventa anche padre orgoglioso di Secret nel 2007 ed è compagno della modella Jade Berreau. Ma il 13 luglio scorso proprio Jade, dopo avergli parlato al telefono, lo raggiunge con il cuore in gola all’hotel Lafayette House, nell’East Village, forza la porta della stanza e lo trova nella vasca da bagno senza vita per una overdose.
Snow muore in quella New York «che amava e odiava», come ricorda ancora la Grayson. «Traeva ispirazione dalla città, dai suoi aspetti bellissimi e terribili. Ne era parte integrante. Non poteva andar via da qui, ma la città lo ha ucciso». Viveva nel Lower East Side, quartiere diventato negli ultimi anni punto di riferimento per molti artisti. Qui abitano e lavorano Terence Koh, il cui studio a Chinatown è un laboratorio creativo, Tim Barber sta a Forsyth Street, in Canal Street vivono Ryan McGinley e Dan Colen, così come la fotografa Hanna Liden, amica di Jade.
«Snow ha ispirato l’opera di artisti quali Lowman e Griffins», spiega. «Ma l’arte di Dash è unica, è la diretta estensione di quel che lui era in vita, e nessuno era come lui. Non ha mai cercato di essere “scandaloso”. Voleva spaventare e fare orrore allo spettatore. Ma non gli importava di quel che il “mondo dell’arte” avrebbe pensato. La sua era soltanto la scioccante esplosione di sincerità e autenticità di una personalità straordinaria che non conosceva compromessi». Cosa che Rimbaud e gli altri artisti maudit non avrebbero potuto che condividere.
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