martedì 2 giugno 2009

PLANET K

Planet K, artisti curdi alla Biennale, un laboratorio culturale e politico.



Opere di Baldin Ahmad

C'è fermento nel cuore di Venezia: a poco più di due settimane dall'inaugurazione della 53a edizione della Biennale, nell'ex chiesa di San Leonardo a Cannaregio sta già prendendo vita Planet K, ossia Pianeta Kurdistan. Dai quattro Paesi tra cui decenni fa fu spartita la loro terra e dai quattro angoli del mondo per cui sono dispersi, 13 artisti curdi sono giunti in Italia per rappresentare dal 7 giugno al 22 novembre il primo popolo senza nazione ad avere un proprio padiglione all'Esposizione internazionale d'arte. E non avendo un proprio Stato, hanno pensato di approfittare della manifestazione dal titolo emblematico "Fare mondi" per costruirsi un nuovo "pianeta".
Il Kurdistan non esiste infatti in quanto entità politica indipendente, sebbene la sua creazione fosse stata prevista nel 1920 dal trattato di Sévrese. E dal 1923 - quando il trattato di Losanna ne spartì il territorio ricco di petrolio e risorse idriche tra Turchia, Siria, Iran ed Iraq trasformandoli in minoranze e diaspora - i curdi, allora 25 milioni, oggi 40, lottano per l'unità nazionale. Dove non è ancora riuscita la diplomazia, cercheranno ambiziosamente di supplire arte e cultura.
Planet K sta infatti per trasformarsi in un grande cantiere-laboratorio: da lunedì prossimo all'inaugurazione della Biennale, gli artisti curdi, ma anche filosofi, scrittori, sociologi e giornalisti, si confronteranno su tre temi che sono poi i tre pilastri su cui poggia ogni lotta per l'autodeterminazione: Identità, Confini, Lingua.

"Identità" come memoria della guerra e della migrazione forzata. Identità negata quindi, come nelle opere di Azad Nanakeli, nato ad Arbil nel Kurdistan iracheno, ma fiorentino d'adozione. "Il mio lavoro degli ultimi anni si è concentrato sul tema della perdita di identità.


Ogni giorno che passa e prolunga questo esilio mi fa sentire sempre più straniero" dice presentando la sua videoinstallazione. E' invece con la fotografia e con materiali vari che Ilter Rezan, nato a Dersim ma esule in Germania, rievoca le proprie esperienze che sono poi comuni a tutti gli artisti curdi: "la persecuzione, la fuga, l'esilio e la mancanza di radici". Più spesso sono i colori a rispecchiare il difficile percorso di autoderminazione di un popolo senza Stato, come quelli rievocati da Baldin Ahmad che da 19 anni vive a Utrecht in Olanda dopo aver studiato a Bagdad, Roma, Firenze e Bologna. "Ho attraversato parte di questo piccolo grande universo ignoto - racconta - portando con me solamente lo zaino lasciato da mio padre. Dopo aver lasciato il bianco delle nevi della mia terra, ho conosciuto l'azzurro folle del Mediterraneo, la delicatezza delle colline toscane e i grigi vibranti dei cieli d'Olanda".
"Confini", poi, che invece che delimitare un popolo lo dividono. E per questo Rebwaar Saeed, sia che dipinga sia che modelli la ceramica, insiste su linee ora dritte ora curve per delimitare forme e spazi: "Le linee hanno avuto un significato importante per me sin da quando bambino capivo che i confini della mia terra erano occupati", dice oggi 47enne. Mentre Walid Siti, esiliato a Londra, disegna montagne che "talvolta assumono la forma di una piramide, una tenda o una capanna primitiva", la forma di uno "spazio consuetudinario, di un rifugio" a lui negato.Infine "Lingua" come forma di resistenza laddove è proibita, come in Turchia, ma anche come veicolo di un messaggio di pace. "Privare una persona della propria lingua è un atto di umiliazione, oltre che la violazione di un diritto fondamentale", rimarca Leyla Zana, promotrice della manifestazione insieme al sindaco di Venezia Massimo Cacciari. Lo sa bene lei che nel 1991, prima donna curda a essere eletta nel Parlamento turco, osò giurare nella sua lingua "in nome della fratellanza" tra i due popoli e che per questo scontò dieci anni di carcere e ad altrettanti è stata condannata nuovamente a dicembre per non aver smesso di parlare di pace. "Quando pensiamo all'immigrazione" - aggiunge Zana continuando ad auspicare "la soluzione del conflitto" - inconsciamente dentro di noi proviamo tristezza. Difficilmente si lascia il proprio paese volontariamente e si fa diventare il paese di altri il proprio". Difficoltà che le opere, nonché le biografie degli artisti curdi presenti a Venezia, ben rispecchiano.Perciò Planet K non è solo un progetto artistico, ma anche politico. "Un evento storico - l'hanno definito Dario Fo e Franca Rame - che cade in un momento altrettanto storico", l'ipotesi di una conferenza di pace nel Kurdistan iracheno, e che si spera "possa in qualche modo rappresentare un tassello nel mosaico difficile del dialogo e del confronto aperto e franco".

ROSALBA CASTELLETTI

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