domenica 31 ottobre 2010

FOTOGRAFIA E RACCONTO SOCIALE

Jim Goldberg a Pordenone

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Arriva a Pordenone Jim Goldberg, fotografo americano classe 1953. La sua arte fotografica ha le radici nel tessuto sociale più vero e sporco della società contemporanea. Gli outsider, i poveri, i dimenticati, non solo vengono fotografati nei loro ambienti di vita quotidiana, ma soprattutto vengono lasciati parlare

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Dal 6 novembre al 30 gennaio, nella nuova sede della Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea progettata da Thomas Herzog, i curatori Valerie Fougeirol e Marco Minuz presenteranno la più grande retrospettiva mai realizzata in Italia su Goldberg.

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Oltre trecento opere, tra foto, video, installazioni e libri, che documentano un’attività sul confine tra arte e comunicazione pubblicitaria.

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Le foto di Goldberg infatti vengono spesso utilizzate per campagne promozionali dai grandi marchi della moda, ma non per questo perdono il loro valore.

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L’esigenza del racconto, originale, complesso, frammentario, di queste vite in apparenza semplici, va infatti oltre ogni finalità commerciale. Basta vedere Rich and Poor (1977-1985), una stridente indagine sui contrasti della società americana negli anni del rampantismo dilagante.

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Scatti che non cesseranno mai di esprimere la loro potenza emotiva, la verità di quelle scritte tracciate a pennarello sulle stampe dalle stesse persone che hanno affidato allo sguardo di Goldberg la piccola, unica ed irreversibile esperienza delle loro vite.
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QUANDO I PRETI VESTIVANO DA PRETI E GLI OPERAI DA OPERAI

Le fotografie di Pepi Merisio

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Mercato del bestiame, Serina, 1965 - © Pepi Merisio

“Oggi i fotografi sono sfortunati. Bravi ma sfortunati. Tutto quello che è vita e cronaca glielo ha portato via la televisione. Il reportage lo fa la televisione e a loro non resta che dedicarsi alla moda, all’architettura, allo still-life.”
A parlare è Pepi Merisio. Nato nel 1931 e fotoamatore dal 1947 come lo furono Fulvio Roiter, Gianni Berengo Gardin, Mario Giacomelli, quando il termine dilettante non era considerato un insulto.
Nel ‘62 passò al professionismo e l’anno dopo iniziò una lunga collaborazione con Epoca. Una selezione delle sue foto Ieri in Lombardia“ è esposta fino al 13 novembre al grattacielo Pirelli di Milano.

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Alpe Campascio, Valmalenco, 1969 - © Pepi Merisio

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Le rogazioni, Valsassina, 1960 - © Pepi Merisio

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Stazione Centrale, Milano, 1955 - © Pepi Merisio

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Emigranti, Milano, 1966 - © Pepi Merisio

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Maternità, Val di Mello, 1962 - © Pepi Merisio

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Le immagini in mostra sono 150, molte delle quali inedite. Scattate negli anni ‘60 e ‘70 raccontano la provincia italiana di allora.

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Un mondo fatto di rituali secolari, di contadini, di bambini sorridenti, di uomini e donne che dialogavano con il fotografo - Merisio non ha mai “rubato” un’immagine - senza l’angoscia di considerare invasa la propria privacy. Dice Merisio:
“Allora fotografare era più facile. I pescatori erano vestiti da pescatori, gli operai da operai e i preti da preti. Oggi siamo tutti omologati e meno riconoscibili. C’è bisogno delle didascalie per dare l’identità alle persone.”

clip_image011© Pepi Merisio

Lei è stato il primo a fotografare la giornata di un papa, Paolo VI, ha girato il mondo come inviato di un settimanale di prestigio come Epoca. Perché tanto interesse per le piccole cose, per le abitudini quotidiane?
“Quando, dopo un viaggio, tornavo a casa, fotografavo la Lombardia perché mi accorgevo che stava scomparendo tutto rapidamente. E non solo la Lombardia. Potrei fare mostre “Ieri in Liguria”, “Ieri nel Lazio”…”
La fotografia è solo un mezzo per ricordare o può anche servire per cambiare il mondo?
“Non so. Io credo che più che per cambiare, la fotografia serva per insegnare qualcosa. Paolo Monti diceva che fotografare la guerra è facilissimo. Difficile é fotografare la pace.”
marcello.mencarini
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sabato 30 ottobre 2010

L'HONDURAS AL MUSEO DEL MARE DI GENOVA

Venti scatti in bianco e nero di Nanni Fontana raccontano la vita degli indigeni di una regione remota ai confini del mondo. “La Moskitia, Gracias a Dios”, in mostra

Scatti dall'Honduras

Non c’è una sola emergenza. La vita è la quotidiana emergenza nella Moskitia honduregna. Parola di Ignazio Marino, Presidente di Imagine Onlus, l'organizzazione non profit impegnata in un progetto tanto ambizioso quanto importante: assicurare un’assistenza sanitaria ai miskitos, gli indigeni che abitano l'omonima regione dell'Honduras.
A sensibilizzare l'opinione pubblica ci pensa La Moskitia, Gracias a Dios, il reportage fotografico in mostra al Galata, il Museo del Mare di Genova, sino al 7 novembre. Gli scatti in bianco e nero di Nanni Fontana, una ventina in tutto, raccontano con sensibilità e delicatezza le difficoltà di una popolazione fiera e sfortunata in un paese geograficamente remoto e inaccessibile. Protagonista nelle foto di Fontana è l'acqua, fonte di vita e, al tempo stesso, dispensatrice di malattie per questi indigeni che vivono in condizioni igienico-sanitarie precarie, con un tasso di mortalità infantile elevatissimo.
Il Programma di Assistenza Sanitaria di Imagine qualcosa ha già fatto grazie alla creazione, nel piccolo villaggio di Tikiuraya, di un centro specializzato nella cura di mamme e neonati, con anche un servizio di barca-ambulanza per collegare più velocemente le provincie sperdute con l'ospedale di Puerto Lempira. L'obiettivo successivo è quello di dare un know how medico alle levatrici delle comunità più isolate.
Dopo aver attraversato in silenzio gli spazi della mostra al primo piano, vale la pena fare un salto anche nella Sala delle Tempesta dove è esposta Surprise, la zattera su cui Ambrogio Fogar e il giornalista della Nazione Mauro Mancini trascorsero 74 giorni alla deriva in mezzo all'Atlantico, dopo essere stati colpiti da un'orca marina. È l'ultima e importante acquisizione del Mu.Ma, donata da Francesca Fogar.
Info: La Moskitia, Gracias a Dios, Galata Museo del Mare, Genova, sino al 7 novembre 2010, tel. 010.23.45.655, http://www.galatamuseodelmare.it/. Ingresso: 10-19.30 (ultima entrata ore 18), lunedì chiuso. Per informazioni su progetti e donazioni di Imagine Onlus, http://www.imagine.org/
Alessandra Turci

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Per le strade di Kruta dopo il temporale, durante la stagione delle piogge (foto Nanni Fontana)

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Una donna con in braccio il figlio osserva la vita che scorre lungo il fiume Kruta nel villaggio di Tikiuraya (foto Nanni Fontana)

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Un bimbo dorme sull'amaca nel villaggio di Mistruk (foto Nanni Fontana)

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Vita quotidiana ad Auka durante la stagione delle piogge (foto Nanni Fontana)

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Una madre con i suoi figli fuori dalla loro casa nel villaggio di Tikiuraya (foto Nanni Fontana)

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Due donne che hanno appena partorito dormono all'ospedale di Puerto Lempira, l'unico dell'intera regione (foto Nanni Fontana)

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Vita quotidiana lungo il fiume (foto Nanni Fontana)

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I Bambini giocano nella laguna di Caratasca e si tuffano dal molo di Puerto Lempira, capitale del Dipartimento Gracias a Dios nella moskitia honduregna (foto Nanni Fontana)

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Un bimbo pesta il riso raccolto dai familiari nel villaggio di Auka (foto Nanni Fontana)

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Una giovane madre dorme accanto al neonato nel suo letto d'ospedale a Puerto Lempira, l'unico dell'intera regione (foto Nanni Fontana)
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GUGGENHEIM: L’ARTE DEL FUTURO? È SU YOUTUBE

Il Guggenheim va a caccia dei videomaker più creativi del mondo. E li scova nella più grande e democratica vetrina espositiva globale, Youtube. Dove, fra milioni di video, spuntano corti di animazione, clip sperimentali e remake che la selezionatissima giuria del museo, guidata dalla presidente Nancy Spector e composta da numeri uno come la musicista Laurie Anderson, il regista Palma d’oro Apichatpong Weerasethakul e il pittore-scrittore Takashi Murakami, non esita a definire opere d’arte. In tutto sono 25 lavori artigianali, di meno di 10 minuti ciascuno, che si aggiudicano un posto nella prima Biennale di video creativi, lanciata dal Guggenheim di New York, sbaragliando una concorrenza di oltre 23 mila rivali provenienti da 91 Paesi. Il criterio era uno soltanto: scremare e scremare fino a restringere la lista a 20 opere, quelle che meglio mixano creatività e tecnologia. «Volevamo selezionarne 20» spiega Spector «ma di fronte alla qualità delle proposte abbiamo allargato l’elenco».
I video vincitori di “YouTube play” saranno proiettati fino a domani al Guggenheim di New York, su youtube.com/play e in chioschi intorno ai musei del network, Bilbao, Venezia e Berlino. Per la prima volta, un prestigioso museo pesca a piene mani in un bacino di non professionisti. Di giovani di tutto il mondo che non hanno dovuto presentare un lavoro ad hoc, ma semplicemente partecipare con il video che, negli ultimi due anni, avevano girato e caricato su youtube. È l’arte che prescinde dall’artista, almeno con quello con l’etichetta. L’arte che prima stupisce il pubblico e solo dopo si sottopone al giudizio degli esperti. L’arte che non ha più bisogno di finire nella collezione di un museo o nel catalogo di una mostra perché ha già a disposizione la vetrina più grande del mondo, Youtube, il sito più visitato dopo Google e Facebook. Gli autori delle 25 opere sono 39, di 14 Paesi, e 9 di loro vengono dagli Stati Uniti. L’unico italiano è stato eliminato nell’ultima selezione.

Nel video, il promo con gli spezzoni dei 25 video:


«Internet è ormai uno strumento per creare arte» ci spiega Hanne Mugaas, curatrice insieme a Nancy Spector di YouTube Play «e soprattutto è molto presente nella nuova generazione di artisti. Per loro è un vantaggio, perché possono condividere ogni creazione con il mondo intero, ma anche per noi curatori, perché è così che ora si scoprono i nuovi talenti». Gli artisti scoperti da questa prima Biennale, «a cui» spiegano dal Guggenheim «ne seguiranno altre», aprono una finestra su un mondo nuovo. Quello dei creativi non professionisti che si muovono in rete. Un mondo che cura molto la tecnica, meno la sostanza. La recensione del critico del New York Times, che ha assistito alla serata-evento di giovedì al Guggenheim - quando i 25 video sono stati proiettati sulla facciata e all’interno dello storico edificio di Frank Lloyd Wright sulla 5a strada - parla di «delusione» e di risultati «poco brillanti su idee generiche e striminzite».
I clip fondono generi diversi e spaziano dallo stile graphic novel a quello da videogioco. Tecnologicamente non mostrano sbavature: l’obiettivo è stupire, chi con la velocità della ripresa - Keith Loutit in “Bathtub IV” trasforma oggetti reali in giochi in miniatura - chi con montaggi al contrario, come Joaquín Cociña in “Luis”. I contenuti, invece, si rincorrono da un candidato all’altro: domina il terrore per una realtà che si scopre diversa da com’è - nei tg deformati di “Auspice” di Bryce Kretschmann - e la denuncia della violenza della guerra, come in “I Met the Walrus” di Josh Raskin, dedicato a John Lennon. L’atmosfera ondeggia quasi sempre fra lo psichedelico-onirico e il grottesco, con tranquilli padri di famiglia che infilano cavi elettrici in uova o bistecche. Mescola la fantasia del mondo di Alice a musica rap Lindsay Scoggins, che con il suo “Wonderland Mafia” conta su Youtube già un milione e mezzo di clic. È davvero arte? Mai come in questo caso, sarà il pubblico a poterlo decidere.
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venerdì 29 ottobre 2010

CARLOS FERREYRA


clip_image001 Born in Santa Fe, Argentina in 1937. Ferreyra is a self-taught artist, who has participated in international art fairs such as: Art Expo, New York
Art Miami, Florida
ArteBa, Buenos Aires



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At the age of 15 he became part of the cast of independent theater in Argentina, where he became an actor, as well as a director. But it was years later, when he focused only on his painting. His father was a carpenter, and it was from him, Ferreyra assures, that he inherited “the noble occupation of working with his hands”.
Carlos Ferreyra has been creating art all of his life. After thirty years of expressing himself in ways that ranged from drawings to oil and from portraiture to abstract, Carlos Ferreyra not only developed a unique painting technique, but also created a body of work that interprets the moods and events of an entire culture.
His newest line of work is dedicated to “The important moments of the people without importance”. With his works of art, Ferreyra honors everyday life, the dignity of the common job and the humility of simple things. Here, he opens a window for us to see his memories, to glance at a moment frozen in time, which in many ways becomes a memory of our own past that we might have taken for granted.


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To know Ferreyra’s art is to know him, his family, friends, neighbors, even that old man who worked at the bakery around the corner. “People understand immediately what it is that I want to show, there are no explanations needed. My paintings bring you closer, they integrate those who are watching, feel as if they are inside.' Ferreyra is asked: How did you learn to paint? He answers: “Alone, on those endless afternoons in Santa Fe. At the dining room table with one of my father’s carpenter pencils, on the white paper that the bread used to come wrapped-up in every day…. Always with the still and amazed gaze of my mother, who was starting to realize that there would be a different path for her son. I had no other school than myself, no other tools than my imagination.”


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Fonte
Sito artista
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LE MASCHERE DI ALESSANDRO BARONIO

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Le sue maschere sono realizzate attraverso il riciclaggio di rifiuti, ripuliti, studiati nelle loro forme e nella loro resa e infine ripensati e riadattati. Diversi sono gli esempi di arte e riciclaggio, ma il suo mi sembra un approccio interessante perché più tradizionale.
Lasciando sempre ampio spazio alla casualità, dall’accostamento dei materiali nascono maschere di animali, esseri antropomorfi e creature mitiche. Il rifiuto riprende vita attraverso l’accostamento e l’assemblaggio dei materiali. Ogni oggetto ha la sua storia, ma poi diventa solo il particolare di un disegno più grande, la maschera appunto.
Baronio realizza anche ritratti a distanza. Nel progetto Ritratti Rifiutati si fa spedire per posta gli oggetti legati alla vita del soggetto da rappresentare, che contatta via chat e social network. Pian piano viene fuori una rappresentazione fatta con elementi di recupero fisici e psicologici del soggetto da rappresentare.

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Fonte
Alessandro Baronio
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