Colore e movimento sono i campi nei quali Haas eccelse e per i quali gli viene riconosciuta l’indiscutibile appartenenza ai grandi della fotografia.
Egli realizzava immagini volutamente mosse scattando con tempi di esposizione più lenti in maniera da rappresentare il movimento. Con la pratica imparò a muoversi alla velocità del soggetto durante lo scatto (tecnica che prese il nome di panning).
“Ho voluto liberarmi dal classico momento statico per ottenere un’immagine che esprimesse anche il concetto di tempo”. Egli infatti parlava di “bellezza di un movimento nel tempo e nello spazio”.
Il risultato sono delle meravigliose immagini dove il movimento si percepisce nella sua sinuosità ed armonia, ed il colore si sfuma quasi a somigliare ad una particolare tecnica pittorica.
Guai però a nominare la pittura o l’astrattismo guardando delle fotografie. Haas infatti diceva: “Il fotografo è come un pittore che deve lavorare su una tela già dipinta; deve dare ordine a ciò che già esiste”. Per tale motivo Haas non considerava l’astratto in fotografia: “Di fatto, una foto, è una realtà che esiste. E’ un termine che ereditiamo dalla pittura per comodità.”
Ernst Haas, fotografo ma anche, a nostro avviso, grande pensatore. Sebbene abbia volutamente mantenuto come sua principale attività la fotografia in senso stretto, negli anni Settanta ha anche realizzato diversi seminari e conferenze.
Nato nel 1921 a Vienna, da bambino sognava di diventare un pittore. Si arruola nell’aeronautica durante la seconda guerra mondiale. Barattando nove chili di margarina riesce ad entrare in possesso di una Rolleiflex che, nell’immediato dopoguerra gli permetterà di realizzare le sue prime immagini.
Nel 1947 la sua prima mostra a Vienna. Nello stesso periodo comincia la collaborazione con Heute, rivista americana per i tedeschi dei territori occupati. Nel 1949 Heute e Life, la celebre rivista fotogiornalistica americana, pubblicano il suo celeberrimo reportage sul ritorno dei prigionieri di guerra, segue il contratto con la Magnum su invito di Robert Capa.
Il 1949 è l’anno della svolta e del passaggio al colore. Haas cominciò l’utilizzo del colore perchè si riteneva maturo per questo passo, il mondo era cambiato dalla guerra, i tempi grigi erano finiti, lasciando posto ad una nuova era piena di speranza.
A proposito del colore dirà: “Non capisco queste discussioni sul bianco e nero e il colore. Amo sia l’uno che l’altro. Sono due lingue diverse dello stesso contesto. Entrambi molto affascinanti. Colore non significa b/n con l’aggiunta del colore, così come il bianco e nero non è un’immagine privata del colore. Ognuna di queste due tecniche richiede una diversa sensibilità e, di conseguenza, conoscenze diverse. Esistono i detrattori del colore come quelli del bianco e nero; in realtà sono persone incapaci di usare al meglio entrambe le tecniche. Un fotografo non si giudica dal tipo di pellicola che usa, ma da come la usa.”
Nel 1951 si trasferisce negli Stati Uniti, a New York e pochi anni dopo, nel 1957 realizza il famoso lavoro sulle corride “Beauty is a Brutal Art” che viene pubblicato su Life.
Ernst Haas utilizzava la Kodachrome I da 12 ASA. Data la bassa sensibilità egli sovente si muoveva con treppiedi per lunghe esposizoni, denotando anche il carattere paziente del fotografo.
Aveva una particolare predilezione per i particolari, piccole sottigliezze piuttosto che vistosità. Probabilmente, a causa dell’emulsione che registra un range limitato di intensità di luce, egli fotografava spesso i propri soggetti in controluce, delineandone la sagoma a favore di una buona leggibilità dell’ambiente che sta intorno i soggetti.
Era un fotografo sempre pronto a nuove esperienze ed a mettere sempre in discussione le proprie tecniche stilistiche: “Una formula è la morte di tutto. Ci deve sempre essere una qualche sorpresa. Nell’estetica, anche quando si è convinti di possedere una formula, allo stesso tempo è vero anche l’opposto. Se si giunge ad una formula bisogna cercare di contravvenirvi.”
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