Il miglior fotografo di news del 2014
La rivista TIME ha scelto il bravo fotogiornalista turco Bulent Kilic, 35
anni, "per essersi trovato sistematicamente al centro delle notizie più
importanti" di un anno molto turbolento
23 dicembre 2014
Come
ogni anno la rivista statunitense TIME ha
scelto il miglior fotografo di news (Best Photographer on the Wires) delle
agenzie di stampa: il premio non è in denaro ma è comunque considerato un
riconoscimento importante che contribuisce ad aumentare il prestigio e la
notorietà dell’autore. Quest’anno i responsabili della rivista, che si basano
sulla distinguibilità delle immagini e sulla rilevanza delle storie raccontate,
hanno scelto di premiare il bravo fotogiornalista turco Bulent Kilic, 35 anni, da 7 anni nell’agenzia Agence France Presse (e molto apprezzato anche qui al Post: negli
anni abbiamo
già pubblicato una lunga serie di suoi reportage).
Kilic è
stato scelto per aver documentato moltissimi episodi di un anno
turbolento e “per essersi trovato sistematicamente al centro delle notizie più
importanti, in Ucraina come in Turchia. Le sue immagini sorprendenti, chiare e
memorabili hanno catturato l’attenzione dei redattori delle riviste di tutto il
pianeta, specialmente quando ad ottobre ha catturato il momento esatto in cui
alcuni militanti dell’IS sono stati bersaglio di un attacco aereo nella città
siriana di Kobane”.
Negli
ultimi mesi Kilic, che ha studiato alla scuola di giornalismo dell’Egeo nel
2003 e si è sempre occupato delle notizie della Turchia e dei paesi più vicini,
ha mantenuto un profilo basso lavorando a Istanbul su storie locali, anche per
poter stare più vicino a suo figlio appena nato. E lo si comprende quando si
vedono le fotografie che ha scattato quest’anno, partito con le proteste di
piazza Indipendenza a Kiev, in
Ucraina, e peggiorate tra gennaio e febbraio: per Kilic uno degli incarichi
migliori che abbia mai ricevuto, per il fatto di aver sentito “le emozioni di
milioni di persone intorno a me. I manifestanti cantavano e io ero lì con
loro”. Tornato a casa, a Istanbul, ha raccontato le proteste
per la morte – dopo nove mesi di coma – di Berkin Elvan, un
quindicenne turco che restò gravemente ferito durante gli scontri a Istanbul di
giugno 2013 tra polizia e attivisti che si opponevano alla distruzione del
parco Gezi; e poi a maggio, sempre in Turchia, ha documentato i giorni della
strage nella miniera di carbone a Soma, nella
provincia di Manisa, in cui sono morte quasi 300 persone.
Infine
a ottobre, dopo aver sentito alla radio “un invito rivolto a tutto il popolo
curdo a recarsi al confine con la Siria per salvare la città di Kobane”, si è
recato in
quei luoghi, dove ha
fotografato i piccoli profughi curdi nei campi di Suruc, gli uomini e le
donne che osservano i bombardamenti nella città di Kobane dalle colline e, tra
le altre cose, il momento esatto in cui alcuni militanti dell’IS sono stati
bersaglio di un attacco aereo a Kobane. “Un sacco di gente mi chiede se è stato
facile vedere delle persone uccise di fronte a me. Mi chiedono se ho sentito
qualcosa. Non è stato facile. Ma questa è la guerra, e queste persone stavano
uccidendo altre persone. A volte davvero non riesci a sentire niente. E altre
volte non vuoi neanche parlarne”.
Bulent
Kilic / AFP - Getty Images
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