giovedì 17 giugno 2010

ARTE DI PERIFERIA

Melara: viaggio tra gli artisti “della bomboletta facile”
Duecentosessantasette mila metri cubi di cemento, acciaio e vetro che dominano Trieste dalla sommità dell’altopiano di Rozzol Melara.
Un gigante grigio che sovrasta con i suoi due corpi a ‘L’ la città. Difficile non accorgersi della sua presenza.

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Nato nei primi anni ottanta dopo quasi un ventennio di lavori (1969-1981), il complesso residenziale popolare ATER di Melara, più conosciuto come “il quadrilatero” o più pittorescamente come “Alcatraz”, rappresenta il maggior ‘monumento’ al cemento armato che la città ha eretto per le crescenti necessità abitative.

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Con i suoi 468 appartamenti è stato  – ed è tuttora – uno delle più grandi strutture della nostra provincia.
Concepito e realizzato dallo Studio Celli di Trieste secondo gli allora celebri  dettami del “Movimento Moderno”, periodo e stile caro all’architetto Charles-Edouard Jeanneret-Gris conosciuto con lo pseudonimo di Le Corbusier, ricalca con precisione dettami e finalità dello stile citato: tutto nasce e ruota in funzione al cemento armato.

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Nato agli inizi del XIX secolo, il Movimento Moderno fece propri i concetti di praticità e utilità, idee sintetizzate dall’architetto tedesco Bruno Taut nei cinque punti cardine di questa architettura: la prima esigenza sta nella migliore utilità possibile dell’edificio a cui, i materiali utilizzati per la costruzione, devono essere subordinati. Altro aspetto chiave è che “ciò che è funzionale è bello”, quindi poco spazio a vetrate, facciate o alle finiture: tutto deve essere estremamente funzionale. Ultimo punto è l’unicità dei rapporti reciproci, cioè l’interazione che l’edificio avrà con le strutture circostanti: la casa, così spiega Taut, deve essere il prodotto di una disposizione collettiva e sociale.

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Da questa concezione del costruire nasce la struttura di Rozzol-Melara; con l’idea di un grande “villaggio indipendente” in cui l’abitante possa soddisfare i propri bisogni primari: negozi, scuole e servizi devono essere a portata di mano in nome di una corretta funzionalità sociale.
Nel corso degli anni, invece, il complesso ha visto un costante e lento declino a cui le fredde ed impersonali pareti di grigio cemento hanno assistito; impassibili spettatrici del tramontare dell’idea architettonica moderna, testimoni immobili del degrado a cui la struttura stava andando incontro.

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Non tutti però si sono arresi al grigiore della mastodontica struttura. Da qualche anno a questa parte un gruppo si artisti ha utilizzato le pareti del quadrilatero come un’enorme tela da dipingere e riportare alla vita grazie ed ignizioni mirate di colore.
Gli artisti “dalla bomboletta facile” si sono riappropriati della luce che attraversa le enormi finestre e l’hanno impressa sulle pareti dei lunghi corridoi che attraversano i vari livelli della struttura.

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Non solo semplici tag (le “firme” spesso stilizzate che vengono lasciate un po’ ovunque, anche nel centro cittadino) sicuramente impopolari visto il comune senso di apparente inutilità e dell’effettivo grado di deturpazione degli edifici che spesso comportano, ma delle opere d’arte visiva più comunemente  chiamata “street art”.
Pareti che hanno preso vita grazie all’estro e al gusto di ragazzi che hanno deciso di rendere più viva e colorata la propria casa, il proprio quartiere, dando un senso al monumento di cemento armato tanto caro a Le Corbusier.
Non voglio entrare nel merito della legislazione e nella diatriba tra chi considera la street art come una forma di crimine e quelli che, diversamente, la considerano un’arte. Resto convinto che, se una cosa è in grado di dare un senso al grigiore che spesso pervade le nostre periferie, non può essere una cosa cattiva.

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Non ci si improvvisa di certo artisti in questa jungla fatta di simboli, di codici e si mille sfumature. Guardando ‘un pezzo’ sul muro ci si rende subito conto di quanto lavoro e di quanta capacità tecniche ci siano voluti per raggiungere un risultato così coinvolgente.
Troppa disinformazione e pregiudizi aleggiano sulle figure dei writers. In attesa che qualcuno di questi artisti metropolitani ci venga a raccontare tutti i retroscena di un’arte di così forte impatto e così controversa, lasciamo parlare le immagini dei loro lavori.

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