Capolavori esemplari, opere inedite o raramente presentate, lavori ritrovati ed esposti per la prima volta. È la grande mostra che Venezia dedica a Felice Carena (1879-1966), l’artista di origini piemontesi, protagonista del Novecento italiano, che scelse la Serenissima per trascorrere gli ultimi e fecondi anni della sua carriera. Promossa dalla Regione del Veneto, dall’Istituto Veneto di Scienze Lettere ed Arti e da Arthemisia Group, la mostra “Felice Carena e gli anni di Venezia” resterà allestita dal 27 marzo al 18 luglio a Palazzo Franchetti. A distanza di quindici anni dalla rassegna svoltasi a Torino nel 1996, l’esposizione è la prima importante occasione per riscoprire e rivalutare Carena. Curato da Virginia Baradel e con un comitato scientifico di prestigio composto, insieme alla curatrice da Luigi Cavallo, Elena Pontiggia, Nico Stringa l’evento, coordinato da Stefano Cecchetto, riunisce oltre 90 opere provenienti dai maggiori musei italiani e da collezioni private, tracciando la parabola di una biografia artistica che si snoda dalle prime esperienze torinesi sino ai lavori degli ultimi anni. Carena nasce a Cumiana, presso Pinerolo, da una famiglia borghese della provincia torinese. Frequenta l’ambiente intellettuale e letterario di Torino, si lega a Giovanni Cena e Guido Gozzano, finché non si trasferisce a Roma nel 1906, entrando nel mondo culturale della Capitale. Affermatosi come una rivelazione nella Biennale del 1912, dove nonostante la giovane età ottiene una sala personale, diviene figura di spicco della pittura del Novecento. Osannato tra le due guerre, principe dell’Accademia fiorentina, Accademico d’Italia e vincitore del Gran Premio alla Biennale del 1940, Carena si trova tuttavia ad espiare nel dopoguerra l’ombra di una subdola rimozione sia ideologica che artistica. Nel 1945 si trasferisce a Venezia dove comincia una nuova stagione di vita e di ricerca. Espone ancora alle Biennali del 1950, 1954 e 1956 e in numerose mostre in Italia e all’estero negli anni Cinquanta e Sessanta. Gli sono amici fedeli figure come Angelo Giuseppe Roncalli (futuro Papa Giovanni XXIII) e Vittorio Cini. Continua un’intensa produzione pittorica che interrompe solo all’inizio del 1966 a causa di un grave disturbo alla vista. Il 10 giugno muore e lascia alla Galleria di Cà Pesaro alcuni dipinti e venticinque disegni e alla Fondazione Cini un gruppo di 60 disegni.
Il percorso della mostra si presenta idealmente come una quadreria, che bene si inserisce nelle scenografiche sale di Palazzo Franchetti. Una scelta di capolavori e di opere esemplari in ordine cronologico illustra i diversi periodi della vicenda artistica di Carena per cogliere infine l'originalità e la singolare qualità della pittura del periodo veneziano. La prima sezione è dedicata all’iniziale periodo estetizzante e crepuscolare, venato di simbolismo e di patetismo. Sono gli anni torinesi quando l’artista assimila la lezione di Grosso, Bistolfi e Segantini. Si trovano qui riuniti alcuni lavori dei primi anni Dieci come “La Perla” (1908),
il “Ritratto della Baronessa Ferrero” (1910); vari inediti come il “Ritratto della sorella” del 1901 e il “Violinista” del 1905; nonché i due quadri “La rivolta” (1904) dell'Accademia di Belle Arti di Roma e il monumentale “I viandanti” (1908) delle Gallerie d’Arte Moderna di Udine, che segnano il passaggio dall’estetismo tardo romantico alla veemenza letteraria della denuncia sociale dei primi anni romani. La seconda sezione presenta la svolta del 1913. Tra il 1913-1914, Carena matura infatti la prima svolta stilistica che guarda ai francesi Derain, Gauguin, Cézanne. I soggiorni nel borgo incontaminato di Anticoli Corrado contribuiscono a questa nuova visione che il pittore esprime al meglio in quadri come “Ritratto d’un sacerdote” (1913) della Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca' Pesaro, “Gualfarda” (1914) e “Bambina sulla porta” (1919) della Fondazione Cini. Sono esposti inoltre per la prima volta “La guardiana dei porci” (1916 ca), “Corsa nei sacchi” (1919), “Aringhe e uova” (1920) e
La guerra, vissuta in prima linea, accentua il desiderio di essenzialità espressiva, cui si lega il personale approccio al classicismo che guarda al Seicento, pur nel clima di valori plastici nella prima metà degli anni Venti. Le opere di questa stagione si possono ammirare nella terza sezione dove sono bene rappresentati da due tele come
Seguono nella quinta sezione, dopo l’omaggio a Delacroix
con “L'Angelo lotta con Giacobbe” (1939) dalle Gallerie d’Arte Moderna di Udine e “Tobia l’Angelo” (1938 ca), alcuni quadri a cavallo tra gli anni Trenta e Quaranta che culminano nell’importante mostra alla Galleria Michelangelo a Firenze nel 1943, l’unica personale che allestì nella città d’adozione che vide la sua ascesa come pittore e come direttore all’Accademia. Carena tende alla piena luminosità anticipando di fatto alcuni esiti del successivo periodo veneziano. Tra i quadri: “La fuga in Egitto”(1940 ca), “L'annuncio ai pastori” (1941), “Il ratto delle Sabine” (1942 ca) e “La conversione di Saulo” (1937 ca). La sesta sezione presenta una serie di opere mai esposte che segnano il passaggio a Venezia. Lavori come l'“Esodo” (1945 ca), “Pioggia di Fuoco” (1943), “Passaggio del Mar Rosso” (1945), “Busto di Marzia” (1946), “Autoritratto” (1946) e “Bagnanti” rivelano l’approdo di Carena a un uso del colore come materia cromatica pura mentre il segno diventa più libero. Nei dipinti della fine degli anni Quaranta, l’artista sembra guardare a Daumier, trasformando i suoi eroi popolari e mitologici, o biblici, in figure grottesche e altamente drammatiche, siano esse “Caino e Abele” (1947) o “Giuditta e Oloferne” (1948 ca) o un semplice “Pastore” (1950). È questa la linea che si afferma negli anni Cinquanta, proposta nella settima sezione della mostra, quando Carena raggiunge l’acme della tensione religiosa. La figura dell’uomo e di Cristo in croce si avvicinano. Tra le opere d’intenso espressionismo “Teatro popolare” (1952) di Ca’ Pesaro, “Pietà”, della Galleria Civica di Vittorio Veneto, “Angoscia (La madre)” (1952) della Collezione Marzotto e l’inedito “Davide e Golia” (1953). La mostra si conclude con l’ottava sezione dove sono raccolte le nature morte. L’animo dell’artista sembra trovare quiete nella luce veneziana. Ispirato da Tiepolo e, parimenti, dal contemporaneo Morandi, Carena fonde materia e luce nei corpi solidi e altamente simbolici delle sue nature morte dove dominano le conchiglie. Venezia diventa dunque il prisma attraverso cui rileggere l’intera storia della pittura dell’artista che accanto ai grandi estimatori ebbe anche critici avversi: gli venivano contestate la pluralità di richiami e la mancanza di coesione compositiva. La mostra e i saggi del catalogo Marsilio, portano oggi alla luce la sua inconfondibile cifra personale e sfatano l’idea di un Carena, vecchio, sofferente, ripiegato su se stesso perché il tramonto dal punto di vista biografico portò al raggiungimento di nuovi traguardi, attraverso un’inesausta ricerca.
Dal 26 marzo al 31 luglio 2010
Palazzo Fianchetti
Campo Santo Stefano, 2847 30124 Venezia
Orario: Tutti i giorni dalle 10.00 alle 18.00 (la biglietteria chiude alle 17.30)
Avevo lasciato un commento ma col filtro che hai messo é sparito prima che finissi di ricopiare il
RispondiEliminacodice.Mi dà troppo fastidio di ripetermi e ricominciare.
Mandi
Jaio
@Jaio Furlanar
RispondiEliminascusami, ma non mi pare di aver messo nessun filtro. Solo che blogger ultimamente mi fa un pò dannare e mi crea un sacco di problemi a cui non riesco a dare soluzione.
Un caro saluto