pittura e saggezza africana
Determinare con certezza i dati anagrafici di un africano nato nella prima metà del secolo scorso non è cosa facile a causa delle diverse impostazioni tecniche delle seppur esistenti anagrafi rispetto a quelle europee ed anche alla vastità dei territori, a parte le metropoli, poco densamente popolati ed anche, in molti casi, a causa del fenomeno del nomadismo. Ecco perché alcune precedenti quanto imprecise pubblicazioni citano per Lilanga luoghi di nascita approssimativi e date discordanti, ma per sua stessa ammissione, George Lilanga di Nyama nasce nel 1934 nel villaggio di Kikwetu del Distretto Masasi della Regione Mtwara nel Sud della Tanzania da genitori makonde (gruppo etnico originario del Mozambico). Il padre lavorava come operaio agricolo in una piantagione di sisal. La famiglia, oltre al padre, alla madre e a George, si componeva di altri due figli, un maschio e una femmina.
L’unico superstite, tra i figli, fu George, sebbene sembra che la madre abbia dato alla luce diversi altri figli, tutti deceduti in tenera età; considerata per questi lutti dal proprio marito, come posseduta da spiriti negativi verrà abbandonata dal padre di George che sposerà una seconda moglie.
Successivamente la famiglia si trasferì nella città di Lutamba, dove George frequentò solo fino alla quarta classe della Scuola Elementare, il cui ciclo completo sarebbe stato di sette anni.
All'inizio del suo quindicesimo anno di età, George fu accompagnato dal padre, come ogni giovane makonde, in un luogo isolato nella foresta, dove insieme con altri ragazzi del suo clan venne "iniziato" alla maturità nella cerimonia detta "Jandoni"; durante questo rito i componenti maschili di questa etnia apprendono tutto ciò che i ragazzi devono conoscere prima di diventare uomini.
Dopo l'iniziazione e, come alla maggioranza dei makonde, a George verrà insegnato a scolpire usando dapprima il legno tenero di una radice, la cassave, poi del legno di mkongo più compatto e, solo successivamente, sotto la guida dell’anziano scultore Mzee Sumaili, il duro legno di ebano. Siamo negli Anni Sessanta e Lutamba alla frontiera col Mozambico, paese allora in piena Guerra di Indipendenza, è popolata di europei che lavorano nel Campo dei Rifugiati. Nei momenti in cui George non è impegnato nel lavoro agricolo, insieme ad un gruppo di suoi amici, si diletta nella scultura e decide di portare le sue opere al Campo dei Rifugiati di Lutamba, dove gli operatori europei possano vederle e comperarle.
Questi volontari europei insegnarono a George e ai suoi amici scultori le prime regole del commercio suggerendo come potesse essere ben più remunerativo presentare i manufatti nella grande Dar es Salaam. Seguendo questa indicazione, alla fine del 1970 l'artista, assieme al suo amico scultore Vincent, si trasferì in questa grande città per tentare la fortuna.
Una volta arrivato a Dar es Salaam Lilanga si riunì ad un altro gruppo di scultori che lavoravano nel centro della città; ma fino al 1971 e grazie allo zio, Augustino Malaba, già scultore rinomato a "Nyumba ya Sanaa" (Casa dell'Arte), una sorta di centro per l'Arte e l'Artigianato che aveva appena aperto i battenti, Lilanga non otterrà la sua vera, prima opportunità di lavoro.
George iniziò dunque nella Casa dell'Arte come semplice sorvegliante notturno ma nel tempo libero cominciò ad apprendere le tecniche della stampa ad acquaforte.
Grazie a questo lavoro precario il nostro artista colse l'occasione di mostrare le sue opere a Sorella Jean che faceva parte della direzione del Centro e che, resasi conto delle notevoli capacità artistiche di George gli cambiò mansione per consentirgli di iniziare a studiare disegno.
Questi primi disegni verranno usati per eseguire i celebri batiks e per le rarissime opere su pelle di capra di solito non inferiori alla misura di quaranta centimetri per quaranta. Questo è anche il periodo delle grandi opere su lastra di ferro, destinate perlopiù a completare elementi architettonici come cancelli o ringhiere di scale, tagliate con un seghetto a mano e dipinte con smalti ad olio, sono opere pressoché introvabili. A tal proposito, ancora oggi, possiamo ammirare il cancello d'ingresso della Casa dell'Arte, a Dar es Salaam, realizzato dall'artista contemporaneamente agli altorilievi in cemento che decorano, come un cornicione continuo il sottotetto del museo. Le grandi lastre di ferro ritagliate e dipinte dall’artista negli anni ottanta si differenziano dalle più antiche in quanto i profili sono ottenuti con l’ausilio della fiamma ossidrica e non più ritagliati a mano con la sega a ferro.
Nel 1974 alcune sue opere vengono presentate al National Museum di Dar es Salaam, rivelando come la scuola di pittura che frequentava presso l’atelier di Edwar Saidi Tingatinga avesse influenzato il suo stile: dallo sfondo dei soggetti rappresentati scompare ogni paesaggio o qualsivoglia altra ambientazione.
Da allora e fino alla fine i suoi personaggi si muoveranno su fondi monocromi o, quando l'artista terrà particolarmente al tema del dipinto, questo si svolgerà su di un fondo di colori sfumati orizzontalmente.
Un'altra eredità della Scuola dei Tinga Tinga è rappresentata dal fatto che tutta la composizione pittorica avviene all'interno del perimetro fisico del quadro e, tra un personaggio e l'altro geometrismi dalle forme più disparate, riempiono i vuoti denunciando un vero e proprio horror vacui. " ... il durissimo ebano rallentava la mia produzione artistica, compresi, alla fine degli anni settanta che avrei potuto, più rapidamente, fissare gli atteggiamenti degli spiriti Shetani attraverso la pittura ... “.
A partire infatti da questo momento l'artista, non dimentichiamolo, ottimo scultore, si dedicherà quasi esclusivamente alla pittura, divenendo il primo pittore di figure intere makonde.
Nel 1977 espone al Marykoll Ossing Center di New York, mantenendosi in questa grande città grazie alla vendita, agli incroci stradali, dei suoi monotipi, stampe in nero su carta o cartone, oggi rari, per soli dieci dollari l’uno, agli ignari passanti di Manhattan.
L'anno successivo, il 1978, una tappa fondamentale della sua carriera sarà la Mostra Collettiva a Washington D.C. , dove esporrà circa cento opere sulle duecentottanta africane presentate.
Nella recensione sul Washington Post il redattore della rubrica d'arte, comparò le opere di George a quelle del famoso Jean Dubuffet, il profeta dell'Art Brut, mentre altri critici specularono sulle influenze che i giovani artisti americani della Pop Art avrebbero ricevuto dalle sue opere in particolare e da questa mostra africana più in generale: per sua diretta ammissione Keith Haring racconterà in più di una intervista che lo stile di Lilanga contribuì a cambiare le sue rappresentazioni grafiche.
A partire da questo momento Lilanga verrà invitato ad un numero impressionante e pressoché ininterrotto di esposizioni tanto da essere considerato attualmente da tutti gli esperti di Arte Africana Contemporanea come uno degli artisti più rappresentati.
Quando Lilanga decise di preferire la pittura alla scultura usò moltissimi progetti nati per essere sviluppati in tre dimensioni che invece dissezionò come grazie all’ausilio di una TAC, riuscendo ad ottenere figure bidimensionali che nella sua produzione pittorica hanno rappresentato il perimetro dei dinoccolati Shetani.
Durante gli anni Novanta l'artista inizierà anche come esito di questa moltitudine di disegni, a produrre opere sempre maggiori come dimensione e tornerà massicciamente alla scultura, trascurata per più di dieci anni e che invece inizierà a ricoprire di colori vivaci, unificando l’emozione della cromaticità agli inaspettati volumi della sua plasticità.
Alla fine degli anni Novanta le sue sofferenze, per una forma grave di diabete, aumentano notevolmente, tanto che si decide a formare attorno a lui un suo atelier, costituito da parenti e allievi pittori e scultori che lavorano alle sue dipendenze e sotto la sua direzione secondo un'organizzazione del lavoro nell'arte usuale in Africa e non molto distante dal sistema adottato nelle botteghe sia medievali che contemporanee in Occidente.
Sfortunatamente nel 2000 il diabete lo obbliga a un ricovero di molti mesi con la conseguente perdita degli arti inferiori; questa mutilazione lo costringe su di una sedia a rotelle, ma non riesce a scalfire minimamente la sua creatività e la sua gioia di vivere. “ ... il mio soggiorno all'ospedale è stato molto deprimente, poiché non avevo niente da fare, non potevo dipingere ed ero molto preoccupato per il futuro della mia famiglia; fortunatamente, da quando sono rientrato a casa, dal gennaio 2001, ho potuto ricominciare a lavorare e dunque a vivere ... “.
Da quell'anno Lilanga ritroverà le tecniche e i supporti dei suoi inizi, ricominciando con gli inchiostri su carta e su piccole pelli di capra (non più grandi di 22,5 x 22,5 centimetri).
L'artista ha sempre preferito lavorare a Mbagala, dove è vissuto, piuttosto che vivere vicino ai negozi del quartiere di Morogoro, dove gli eredi degli artisti Tingatinga, più giovani e sconosciuti, vendono i loro lavori.
Negli ultimi tempi le sue visite a Dar sono state limitate al massimo per portare le sue opere alla Casa dell'Arte o per procurarsi il materiale per dipingere, ma nonostante il suo grave handicap, ogni pomeriggio ha chiesto, fino all'ultimo, di essere condotto a visitare i suoi campi.
Per essere un autore africano egli ha viaggiato verso moltissime destinazioni internazionali per presenziare alle vernici delle sue esposizioni senza per altro essersi mai preoccupato d'imparare una lingua diversa dal dialetto makonde della madre o dallo Swahili.
I suoi contatti con gli artisti stranieri vengono perciò considerati inesistenti anche per il problema della lingua, come lo stesso può dirsi per i contatti con gli altri artisti dell'Africa dell'Ovest.
George Lilanga di Nyama si è spento nella propria casa-atelier di Mbagala lunedì 27 giugno 2005 lasciando da quel giorno e per sua volontà, con due rogiti notarili, firmati naturalmente in vita e alla presenza di notai, testimoni e del figlio Coster, che ha sottoscritto tali atti, alla National Gallery di Firenze, la facoltà in esclusiva, di autenticare tutte le sue opere presenti nell’Europa e nell’Asia politiche e geografiche.
Lo stile
I manufatti artistici degli antichi Makonde traggono le loro origini dalla notte dei tempi e, come per tutta l’arte africana, i rarefatti criteri oltretutto raziologici, impiegati dagli studiosi occidentali per catalogarli li hanno relegati alla pura e semplice origine tribale: un manufatto legato all’oggetto d’uso o tuttalpiù espressione di una idolatria pagana. Pochi storici dell’arte hanno creduto opportuno dedicarsi all’arte africana: i più noti comunque hanno pubblicato soltanto in riferimento al passato. Fino a pochi anni fa l’arte contemporanea africana era snobbata dalla cultura ufficiale occidentale, dunque sconosciuta, nel migliore dei casi fraintesa. Solo negli ultimi cinquant’anni si è cominciato a comprenderne lo straordinario potere comunicativo, la sua energia intellettuale, e la sua straordinaria modernità che la sdoganano da un’arte definita per bancarelle o per turisti; ed anche se è vero che la grande moda del viaggiare, ha recentemente permesso il contatto tra culture distanti migliaia di anni, l’arte africana si è lasciata solo in parte globalizzare, rispettando, più di quello che si è riusciti a fare in Occidente, certe origini, specialmente quelle legate alla spiritualità.
L'immaginario mondo di Lilanga risulta popolato da una moltitudine di personaggi che sembrano usciti dai cartoni animati, ma che in realtà non sono poi tanto diversi dagli uomini; il loro nome è Shetanis.
Nonostante siano raffigurati con solo tre dita nel piede e solitamente due dita nella mano, con labbra sporgenti che ricordano quelle delle donne Makonde Ndonya più tradizionali (che sono solite mettersi un piccolo anello di legno in un foro praticato nel labbro superiore) e dotati di grandi orecchie, per il resto il loro corpo può tranquillamente considerarsi una stilizzazione di quello umano ed i parei, di cui gli Shetanis sono vestiti, sono proprio gli stessi indossati dagli uomini (detti "msuli") o dalle donne (detti "kanga") nella lingua Swahili.
Un termine generalmente usato per indicarli è "Mashetanis" che in linguaggio Kiswahili si traduce con demonietti. Questo appellativo può trarre in inganno per l'accezione negativa che al termine demonio viene data in molte culture, mentre nella realtà è necessario precisare che il cosmo di Lilanga risulta popolato in generale dagli spiritelli "mizimu" sottospecie degli Shetanis e cioè da tutte quelle presenze che in forma di pensieri occupano di continuo la nostra mente e di cui ci avvaliamo quando pensiamo a persone conosciute come parenti, conoscenti e amici oppure quando siamo pervasi da emozioni, sentimenti e passioni, che possono ossessionarci ma anche allietarci. Gli Shetanis potrebbero essere paragonati agli elfi e agli gnomi della letteratura fantastica occidentale.
In quest'ordine di idee e per mantenere il distacco rispetto ad altri scultori makonde che raffigurano parti di corpi assemblate grottescamente a formare esseri mostruosi, gli alieni di Lilanga sono più simpatici che terribili e sono rappresentati nel momento del massimo divertimento come dei piccoli folletti, ritratti nelle situazioni quotidiane della vita in una qualsiasi parte dell’Africa.
Ciascuna opera ha un proprio titolo che descrive la scena rappresentata e in più contiene un semplice messaggio di saggezza popolare; ciò consente di sorridere e di apprendere sempre qualcosa di nuovo sul quotidiano africano. Questo linguaggio semplice, impostato sui canoni della più schietta saggezza, inventato da Lilanga, fa parte ormai, a pieno titolo, dello slang urbano africano.
Il decoro consiste in segni geometrici e colorati che riempiono completamente lo spazio bidimensionale; in definitiva queste raffigurazioni non appartengono al mondo reale, sebbene in opere tarde alcuni elementi paesaggistici come case, alberi e montagne, o oggetti di uso quotidiano come mezzi di trasporto, cineprese e persino telefonini, appaiano raffigurati.
Il colore è abbondante ma mai lasciato al caso e i soggetti si inseriscono in serie, ciascuna con una particolare combinazione cromatica che si armonizza col colore dominante scelto per il fondo unito o sfumato, capace di donare grazia alla cromia generale dell'opera.
Gli smalti ad olio, tirati alla perfezione e così sottilmente da far emergere talvolta i ripensamenti dell’autore sono poi coperti da una spessa vernice protettiva che ne esalta la lucentezza. Certo è che nel corso degli anni le raffigurazioni si semplificano: gli Shetanis dipinti agli inizi degli anni ottanta si muovono secondo uno schema concentrico, complicato da un complesso quanto spigoloso intrecciarsi delle membra dei protagonisti. Con la maturità le stesse figure divengono più dolci, i tratti rotondeggianti e la composizione scenica si semplifica notevolmente. Dopo il duemila questa semplificazione si accentua e pare evidente, anche nelle scelte cromatiche, il contributo del suo atelier che giunge a produrre opere decisamente di maniera. Del resto la fama crescente di Lilanga lo aveva portato a dipingere dalle poverissime pelli di capra, macellata per uso alimentare, alle grandi tele e faesiti fornite dalla committenza mercantile americana, giapponese ed europea passando attraverso gli anni ottanta, gli anni in cui il supporto preferito e forse l’unico disponibile era la masonite, materiale con il quale in Africa si fabbricano i tetti. La grande quantità di commesse ricevute spingeva obbligatoriamente l’artista verso una semplificazione degli schemi e dei temi trattati a vantaggio del tempo impiegato per dipingerli.
Quello che Lilanga ci racconta tramite una forma grafica immediatamente comprensibile da tutti,senza bisogno di ulteriori spiegazioni, è che la vita può essere bella se non la si prende troppo sul serio.
Questi spiritelli-ossessione, irriverenti ed espliciti, di tutti i tipi e forme, nei quadri più preziosi raffigurati come nuvolette rotondeggianti o geometriche che stanno per assumere o cessano di assumere sembianze pseudo-umane, popolano le opere del maestro così come i labirinti della nostra mente e del nostro spirito. Le nostre preoccupazioni così come le nostre certezze non sono né migliori né peggiori di noi stessi; esse sono identiche a noi e si alimentano allo stesso nostro modo: facendosi nutrire da noi. Nella loro esistenza, dunque, fanno riferimento ai medesimi problemi con cui siamo soliti confrontarci quotidianamente e mostrano come le creazioni di questo artista possiedano un potere divulgativo e ironico imbattibile, assieme ad un assoluto ed irripetibile senso di dinamismo proprio dell’originale spiritualità degli antichi Makonde pur così simili alla nostra contemporaneità.
Mostre:
1974
National Museum , Dar es Salaam, Tanzania
1976
Goethe Institute, Dar es Salaam, Tanzania
National Gallery of Botswana , Gaberone, Botswana
1977
Goethe Institute, Dar es Salaam, Tanzania
Maryknoll Sisters Centre, Ossing, New York, USA
1978
IMF Hall, World Bank, Washington, D.C., USA
1979
National Museum, Dar es Salaam, Tanzania
1981
National Museum, Dar es Salaam, Tanzania International Summer Academy, Salzburg, Austria
1983
National Gallery of Zimbabwe, Harare, Zimbabwe
Arts & Crafts Centre, Dar es Salaam, Tanzania
1984
International Summer Academy, Salzburg, Austria
Arts & Crafts Centre, Dar es Salaam, Tanzania
1985
Exposition Itinérante en Suéde, Danemark, Norvége et Finlande
1986
Arts & Crafts Centre, Dar es Salaam, Tanzania
1987
International Summer Academy, Salzburg, Austria
1988
Exposition Itinérante, London and Glasgow, UK
Arts & Crafts Centre, Dar es Salaam, Tanzania
1989
Arts & Crafts Centre, Dar es Salaam, Tanzania
" Le Magiciens de la Terre ", Centre George Pompidou, Parigi, Francia
1990
Village & Crafts Museum, New Delhi, India
1991
Africa Explores: 20th Century African Art, The Center for African Art, New York, USA
1990-92
Arts & Crafts Centre, Dar es Salaam, Tanzania
1992
"Out of Africa", Saatchi and Saatchi Gallery, London, UK
1993
Nairobi, Kenya
Discovery: Contemporary Art of East Africa, Ludwigshafen am Rhein Museum, Ludwigshafen, Germania
Musée de Nantes, Nantes, Francia
Okariya Gallery, Tokyo, Japan
Keith Haring & Lilanga, Pantheon Tama Gallery, Tokyo, Japan
La Grande Vérité, Les Astres Africains, Musée de Beaux-Arts, Nantes, Francia
1994
Mimoca Gallery, Marugame, Japan
1995
Biennale di Johannesburg, Johannesburg, RSA
Hetzhof, Germania
Tama Art University Museum, Tokyo, Japan
Maruyamagawa Park Art Museum, Japan
Hiroshima City Modern Art Museum, Japan
Toyoka, Japan
1996
Goethe Institute, Dar es Salaam, Tanzania
Dakar Biennale, Dakar, Senegal
“Africa Nera, Cuore Rosso”, Museo Archeologico, Rosignano Marittimo, Italia
Pyramid Hotel and ZAK Gallery, Fürth, Germania
Marugame, Japan
1997
Islamabad, Castello Pasquini, Castiglioncello, Livorno, Italia
Nairobi, Kenya
Hiroshima, Japan
1998
"Lilanga's Cosmos", Sudou Art Museum, Tokyo, Japan
Goethe Institute, Dar es Salaam, Tanzania
"Art in Tanzania 1998", Dar es Salaam, Tanzania
1999
"Art in Tanzania 1999" al National Museum, Dar es Salaam, Tanzania
2000
"Sanaa Ya Africa", Tama Art University Museum, Tokyo, Japan
"Art in Tanzania 2000" al National Museum, Dar es Salaam, Tanzania
"Tribute to Gorge Lilanga", Alliance Française, Dar es Salaam, Tanzania
Georges Lilanga: d'ici et d'ailleurs, Centre Culturel François Mitterand, Perigueux, Francia
Georges Lilanga di Nyama : Mapico Dance, Mamco (Musée d'Art Moderne et Contemporaine),
Ginevra, Svizzera.
2004
"Africani in Africa", Museo di Storia e Scienza Naturale, Firenze, Italia
"Tinga Tinga & Lilanga", The Museum of Art, Kochi, Japan
"Africa Remix:Contemporary Art of a Continent", Düsseldorf, Museum Kunstpalast, Germania
"Africa Remix:Contemporary Art of a Continent", Hayward Gallery, Londra
2005
"African Art Now", MFAH, Houston, Texas, USA
“Lilanga Planet”, UBS, Lugano
“Africa Africa”, Museo Rimoldi, Cortina d’Ampezzo, Italia
2006
“Africani In Africa”, Museo di San Francesco della Scarpa, Lecce, Italia
“Lilanga, Il Picasso d’Africa: 1975-2005”,Museo Rimoldi, Cortina d’Ampezzo, Italia
“George Lilanga, The World with Shetanis”,Tama Art University Museum, Tokyo, Japan
“Perspectivas Contemporáneas de África”, Museo Guggenheim, Bilbao, Spagna
Fonte
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