venerdì 18 settembre 2009

DASH SNOW

Dash Snow l'ultimo maledetto

Performer, fotografo e graffitaro è morto di overdose a 27 anni il 13 luglio scorso. Il suo mondo in una mostra a Roma

Quando Kathy Grayson, curatrice newyorchese di mostre d’arte, nel 2002, durante una performance, vide irrompere all’improvviso, non previsto, sulla scena, un giovane che iniziò ad aggrapparsi al performer, ad abbracciarlo e ad urlare, chiese, «ma chi è quel pazzo?». Le risposero, «Dash Snow».

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«Distrusse completamente la performance - ricorda - ma in senso buono… E ora penso a Snow come a una delle maggiori menti creative, capace di creare le situazioni più belle, le più divertenti». Ma anche quelle più trasgressive e pericolose. Almeno per sé stesso, tanto da esserne alla fine travolto, morendo a soli ventisette anni nell’autunno scorso, nuova incarnazione dell’artista maledetto. Da Caravaggio a Rimbaud e Verlaine, fino a Basquiat, «l’artista maledetto» è figura controversa, che vive con grande, spesso troppa intensità e sempre al limite. Proprio come Snow.

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Dashiell Snow, detto Dash, nel 2007 è un artista newyorkese emergente che acquista improvvisamente grande notorietà grazie alla copertina che il settimanale New York gli dedica (insieme con Ryan McGinley e Dan Colen) e a un lungo servizio dal titolo «I figli di Andy Warhol». Snow espone in diverse gallerie sia in Europa (a Londra da Charles Saatchi) sia negli Stati Uniti e viene inserito nella Biennale del Whitney del 2006.

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Nasce artisticamente come «graffiti writer» negli anni dell’adolescenza, realizza poi collage con ritagli di giornale (ha una specie di ossessione per Saddam Hussein), e tante polaroid, ma si dedica anche alla performance e all’installazione.

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Fotografa la quotidianità, quella cruda, della strada, tra cani randagi e senzatetto, quella della droga, del sesso di gruppo, ma anche il paesaggio americano erede della tradizione classica, con scatti di un’insolita e toccante intensità.
Spirito indipendente e ribelle, dai 13 ai 15 anni viene rinchiuso in un penitenziario minorile per furto e subito dopo va via di casa. Mantiene ottimi rapporti con la nonna e con suo padre ma non con sua madre e ha una complicata storia familiare di cui nessuno vuol parlare. Ma sua nonna è Christophe de Menil e appartiene a una delle famiglie più prestigiose del Paese (sono definiti i Medici d’America) che ha dato vita a quel tempio dell’arte contemporanea che è la Menil Collection di Houston, nonché commissionato la meravigliosa Cappella Rothko. «Una signora fantastica - dice Kathy Grayson -, gli ha salvato la vita un milione di volte. Gli è stata sempre vicina. Lo ha sempre incoraggiato ad essere sé stesso, a fare la sua arte, a vivere».

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Dash diventa anche padre orgoglioso di Secret nel 2007 ed è compagno della modella Jade Berreau. Ma il 13 luglio scorso proprio Jade, dopo avergli parlato al telefono, lo raggiunge con il cuore in gola all’hotel Lafayette House, nell’East Village, forza la porta della stanza e lo trova nella vasca da bagno senza vita per una overdose.

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Pochi giorni dopo il New York Times titola «Fine terribile per un enfant terrible». Al New York magazine il suo gallerista Javier Peres dice: «Non direi che non amasse la vita, ma vivere per lui era difficile. Era determinato a smettere con le droghe. Guardandomi dritto negli occhi mi aveva detto: “La farò finita con queste maledette cose. Ne ho bisogno. E voglio farlo”».
Snow muore in quella New York «che amava e odiava», come ricorda ancora la Grayson. «Traeva ispirazione dalla città, dai suoi aspetti bellissimi e terribili. Ne era parte integrante. Non poteva andar via da qui, ma la città lo ha ucciso». Viveva nel Lower East Side, quartiere diventato negli ultimi anni punto di riferimento per molti artisti. Qui abitano e lavorano Terence Koh, il cui studio a Chinatown è un laboratorio creativo, Tim Barber sta a Forsyth Street, in Canal Street vivono Ryan McGinley e Dan Colen, così come la fotografa Hanna Liden, amica di Jade.

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Molte amicizie di Snow sono nate nel mondo dei graffiti: «È un club segreto che crea dei legami molto forti e di grande lealtà - aggiunge la Grayson -. Snow era il cuore e l’anima della scena artistica della “downtown” newyorkese». Qui avvengono le cose più interessanti della scena artistica. E si potrà averne un’idea dal 19 settembre al 1° novembre a Roma con la mostra «New York Minute», organizzata dalla Fondazione Depart, presso il Macro, curata proprio dalla Grayson.
«Snow ha ispirato l’opera di artisti quali Lowman e Griffins», spiega. «Ma l’arte di Dash è unica, è la diretta estensione di quel che lui era in vita, e nessuno era come lui. Non ha mai cercato di essere “scandaloso”. Voleva spaventare e fare orrore allo spettatore. Ma non gli importava di quel che il “mondo dell’arte” avrebbe pensato. La sua era soltanto la scioccante esplosione di sincerità e autenticità di una personalità straordinaria che non conosceva compromessi». Cosa che Rimbaud e gli altri artisti maudit non avrebbero potuto che condividere.


Viviana Lucarelli

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