Una piaga sociale di un paese lontano da noi, ma non poi così tanto come sembrerebbe. Lo zucchero che arriva sulle nostre tavole viene quasi tutto da lì, e quelli tra noi che possono permetterselo, è lì che vanno a godersi una rilassante vacanza di lusso.
Ma l'altra faccia della Repubblica Dominicana è quella di un paese che ospita una tra le più atroci forme moderne di sfruttamento: centinaia di migliaia di haitiani che, fuggiti dalla miseria e dalla dittatura di casa loro, sono ridotti a lavorare come schiavi nelle piantagioni di canna da zucchero gestite dalle multinazionali occidentali o dallo Stato. E' ciò che racconta Haiti chérie (il titolo deriva da una canzone di Toto Bissainthe, celebre attrice e cantante haitiana, le cui melodie sono alla base della colonna sonora del film), il film di Claudio Del Punta vincitore del Premio Giuria dei Giovani al 60° Festival di Locarno. Lo fa attraverso le vicende personali di una coppia haitiana che lavora nei "batey" - i recinti in cui vivono i lavoratori della canna da zucchero - che perde un figlio per denutrizione e cerca una via d'uscita da condizioni di vita disumane insieme a un medico e a un adolescente. Prodotto da Esperiafilm e girato in digitale con appena 250mila euro, Haiti chérie è frutto di riprese fatte sul luogo tra il dicembre '05 e il marzo '06, come racconta a CinecittàNews il regista.
Come è nata l'idea di rappresentare un mondo così lontano?
Volevo raccontare una di quelle storie che è impossibile vedere in tv. Credo che il cinema debba occuparsi sempre di più, e sempre meglio, di vicende vere, anche se accadono in luoghi lontani e apparentemente slegati dal nostro mondo. E poi mi interesso da anni della cultura del Centro America. Ho girato dei documentari a Cuba e Santo Domingo, e lì sono venuto a conoscenza di questa situazione. Quindi ho iniziato a intervistare le persone che lavorano nei "batey", ho scritto la sceneggiatura e sono partito.
Haiti chérie porta alla luce anche il forte contrasto tra un luogo di schiavitù e il paese delle vacanze "dei ricchi".
Cinque milioni di turisti all'anno arrivano nella Repubblica Dominicana per godersi una vacanza nei resort di lusso, ma a solo mezz'ora dalla spiaggia c'è una situazione terribile, che ci riporta indietro all'800.
Migliaia di persone che sopravvivono con 3 o 4 dollari al giorno, senza identità giuridica e tutela sindacale, ammassati in capanne senza acqua, luce e servizi igienici. E non possono fuggire perché non hanno i soldi per farlo: è una gabbia senza via d'uscita.
Credo che l'Europa dovrebbe fare qualcosa per porre fine a questo orrore umano: lo Stato italiano dovrebbe almeno informare i turisti sul luogo scelto per la vacanza o, ancora meglio, applicare delle sanzioni.
Avete avuto problemi di sicurezza nel girare?
I militari ci hanno cacciato due volte dalle piantagioni, e molte riprese abbiamo dovuto farle di nascosto. Per me che sono bianco e occidentale i problemi erano relativi, ma per gli attori, che vivono e lavorano nei "batey", il pericolo era grande.
Il film uscirà in Italia? Ha altri progetti in cantiere?
Non c'è, e purtroppo credo che non ci sarà, una distribuzione italiana, ma Haiti chérie è stato comprato dalla francese Pierre Grise Distribution. Nel prossimo futuro vorrei girare un film musicale su Cuba, combinando il racconto sociale con l'intrattenimento, e poi una storia che racconti l'esperimento di Evo Morales, l'attuale presidente della Bolivia, paese dove l'estensione dei diritti e degli incarichi istituzionali agli indios ha generato un grande entusiasmo, una vera carica energetica.
[di Michela Greco]
Nessun commento:
Posta un commento