domenica 25 aprile 2010

PROFUGHI DEL GUATEMALA

“Quando fu tutto distrutto, gli ufficiali incominciarono ad ammazzarci casa per casa: bambini, adulti, anziani. Volevano eliminarci come razza indigena, ma non ci riuscirono, grazie a Dio che non permise che finissimo nelle mani dei soldati. La gente cominciò a correre, a fuggire, rifugiandosi tra le montagne. Pensavamo che i militari avrebbero continuato i loro stermini solo per un giorno o per un breve periodo. Invece continuarono per settimane, per mesi. Un giorno non ne potemmo più e arrivammo a pensare di rifugiarci in un altro paese. Perché? Perché non fummo più capaci di sopportare la fame e tanto camminare, camminare...”

Testimonianza di Ixtahuacan Chiquito

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Il Guatemala viene descritto nelle guide turistiche per i suoi vulcani, i suoi laghi ed i bellissimi siti archeologici della antiche città Maya. Ma è purtroppo anche conosciuto come il paese centroamericano la cui popolazione, che per quasi i due terzi è composta da indigeni diretti discendenti dei Maya, ha sofferto una delle repressioni più selvagge e violente di questi ultimi decenni.

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Più di 200.000 morti, più di 400 villaggi e paesi rasi al suolo dall'esercito. Più di un milione di profughi ed esiliati.

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Da quando gli spagnoli conquistarono il Guatemala la storia di questo paese centroamericano è stata segnata dal feroce sfruttamento e dal lavoro schiavizzato delle popolazioni native.

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Solo il decennio 1944-1954 segnò una rottura con questa tradizione di regimi oppressivi ed autoritari. In quegli anni venne avviato, prima con Arèvalo e poi con Arbenz, un tentativo di democratizzazione del paese e una parziale riforma agraria con l'espropriazione di circa 100.000 ettari alla United Fruit Company, multinazionale della frutta degli USA, ed una assegnazione di quelle terre ai contadini.

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Questa operazione non piacque al colosso nordamericano che, con il decisivo aiuto del governo degli Stati Uniti, organizzò un esercito di mercenari al comando del colonnello Castillo Armas, che nel 1954 fece cadere il legittimo governo di Arbenz.

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Da quel momento si sono succedute una serie interminabile di sanguinose dittature militari e terribili repressioni, fino ad arrivare ad un vero e proprio genocidio della popolazione maya soprattutto durante la dittatura del generale Efrain Ríos Montt.

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Le cifre del massacro sono agghiaccianti. A partire dalla fine degli anni '60 si sono avute: 200.000 morti; 40.000 desaparecidos (scomparsi); 100.000 orfani; oltre 1 milione di profughi di cui molti rifugiati all'estero.

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Questo eccidio che ha colpito il popolo guatemalteco nel corso di questi anni è stato documentato in modo inconfutabile da due ampie e circostanziate inchieste.

La prima inchiesta è stata promossa dall'Arcivescovado del Guatemala, nel più generale progetto di recupero della memoria storica (REMHI), coordinato dal vescovo della capitale Monsignor Gerardi.

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Il 24 aprile del 1998 Monsignor Gerardi presentò pubblicamente la conclusione del rapporto intitolato " Guatemala, nunca más " (Guatemala: mai più), nel quale vengono denunciate migliaia di casi di gravissime violazioni dei diritti umani.

Due giorni dopo la presentazione di questo rapporto, il Vescovo Gerardi è stato barbaramente massacrato a colpi di pietra sulla porta della sua abitazione. I suoi assassini sono rimasti tuttora impuniti.

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La seconda è stata condotta dalla Commissione di Chiarimento Storico si è conclusa il 25 febbraio 1999 con la presentazione del rapporto " Guatemala, memoria del silenzio ". In questa seconda indagine è stato accertato che in Guatemala, specie nel periodo1981-83 sotto i generali golpisti Lucas García e Ríos Montt, " è stato sviluppato un genocidio attraverso una strategia pianificata dello stato contro la popolazione civile, specie nella sua componente indigena ".

© Massimo Tennenini Photographer

Gli indios scendono da Mixco,

carichi di azzurro oscuro

e la città li riceve

con le strade spaventate

da un mazzo di luci

che come stelle si spengono

appena giunge il mattino.

Un rumore di cuori lasciano

le loro mani che remano

come due rami al vento;

dei loro piedi rimangono,

come tele sottili, le orme

nella polvere della strada.

Le stelle che si affacciano

su Mixco, a Mixco rimangono,

perché gli indios le colgono

per canestri che empiono

di galline e corone

bianche di izote dorato.

È più silenziosa la vita

degli indios che la nostra,

e quando scendono a Mixco

si ode solo l'ansimare,

sibilo, a volte, sulle loro labbra

come un serpente d'argento.

Miguel Angel Asturias

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