martedì 6 aprile 2010

YONA FRIEDMAN IN MOSTRA

Friedman, classe 1923, è uno dei mostri sacri dell’architettura e dell’urbanistica del XX secolo, ma la mostra, visitabile fino al 20 aprile ai Magazzini del Sale, non è riservata agli specialisti.

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La città più moderna del mondo? Venezia. Questa affermazione, apparentemente paradossale, dà il titolo alla mostra di Yona Friedman recentemente inaugurata al S.a.L.E. (Magazzini del Sale, Dorsoduro 265, Venezia) e visitabile fino al 20 aprile. Friedman, classe 1923, è uno dei mostri sacri dell’architettura e dell’urbanistica del XX secolo, ma se pensate che la mostra, curata da Maria Pesavento e Gabriele Gallo, sia riservata agli specialisti del settore, allora vi sbagliate di grosso.

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Infatti Friedman, dalla metà degli anni Novanta, vanta numerosissime incursioni nel mondo dell’arte proprio a causa di una caratteristica tipica del suo lavoro, sempre a cavallo tra ingegneria e utopia, tra pragmatismo e immaginazione, tra diagnosi e prefigurazione.

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Yona Friedman - Merzstrukturen, 2006. Mart

Negli anni Cinquanta Friedman è uno dei protagonisti di una rivoluzione destinata a cambiare radicalmente la grammatica e l’idea stessa di pianificazione. Fino a quel momento infatti, non era stata messa in dubbio la legittimità del masterplan, del piano generale, ovvero l’idea che l’urbanista o l’architetto progettassero città o edifici “sulla testa” di chi li doveva abitare, in un processo dall’alto verso il basso, quasi secondo un vettore trascendente.

Friedman, dal canto suo, ribalta questa concezione studiando e attuando progetti che parlano di autocostruzione, dove l’abitante diventa costruttore del proprio edificio, della propria città e regolatore della comunità in cui è in inserito. E’ come se l’architetto, da sempre, insistesse sull’architettura e sulla città come beni comuni e non come oggetti specialistici o, peggio ancora, dispositivi disciplinari.

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Sono queste idee che, principalmente, hanno riportato Friedman sotto i riflettori dell’arte contemporanea a metà degli anni Novanta, soprattutto grazie al lavoro di un curatore quale Hans Ulrich Obrist che ha inteso applicare l’insegnamento dell’architetto ungherese alla propria pratica, tentando di costruire un parallelismo tra mostra e città, entrambe intese quali laboratori di produzione comune piuttosto che come opere di un singolo autore.

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Vi è un altro aspetto che evidenzia il carattere pionieristico dell’opera di Friedman, aspetto riassunto in mostra da un video e da una serie di tavole originariamente prodotte per la rivista Domus.

Si tratta del suo interesse verso i cambiamenti climatici e dell’intenzione di mettere l’architettura e la pianificazione alla prova della crisi del capitalismo, della scarsità di risorse e del climate change. Riflessione che Friedman comincia già in tempi non sospetti, alla metà degli anni Settanta e che oggi affiora nuovamente nella riedizione di un suo testo di quel periodo: “L’architettura di sopravvivenza. Una filosofia della povertà.” (Bollati Boringhieri).


Ma la mostra, come anticipato, ha in Venezia la sua protagonista assoluta. Vengono presentati (attraverso disegni, pittogrammi, sagome di polistirolo, plastici e una grande installazione sospesa) tre progetti, tre utopie realizzabili che trasformerebbero l’insediamento lagunare nella città più moderna del mondo.

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Il primo è la Ville Spatiale sul Ponte della Liberta (quello che collega il centro storico alla terraferma), ovvero una immaginaria città a più piani, sorretta da pilastri, mobile, sostenibile, reversibile e aperta ai processi di autocostruzione. Idealisticamente è quasi il contrario di altre grandi opere realizzate in laguna (vd. il MOSE).

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Il secondo progetto è il Borgo Laguna: ovvero un borgo galleggiante, costruito su chiatte, potenzialmente capace di fornire una soluzione allo spopolamento della parte insulare.
Il terzo progetto è invece intitolato: “Altana pubblica”. Per i non veneziani, le altane sono dei tipici terrazzi presenti sui tetti più fortunati, spesso da queste posizioni è possibile godere di panorami mozzafiato. L’idea di Friedman è quella di rovesciare la statuto dell’altana, trasformandola da spazio privato ad infrastruttura pubblica. Infatti, unendo tutti i terrazzi della città, questi verrebbero a formare una rete pedonale sospesa, fornendo alla città una terza rete viaria indipendente: canali, calli e altane.

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Infine, a fare da “guida” al visitatore, ci pensano una serie di grandi unicorni in polistirolo? Perché l’unicorno? Si tratta di una sorta di animale totemico di Friedman, quello che incarna tutte le virtù civiche secondo l’architetto: la sostenibilità ambientale, quella economica e quella sociale.
Città sospese, terrazzi pedonali, borghi galleggianti e unicorni, la qualità di Friedman è certamente quella di riuscire a spingere il possibile oltre le nostre aspettative.

Marco Baravalle (Terra a Nordest)

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