giovedì 9 dicembre 2010

UGO RIVA

È nato a Bergamo il 9 agosto 1951 e, negli anni degli studi magistrali, comincia a svilupparsi in lui uno spiccato interesse per le arti figurative. Dopo una breve esperienza pittorica, dal 1977-78 matura la scelta di dedicarsi, da autodidatta, esclusivamente alla scultura; la sua opera di questo periodo giovanile è vicina alle istanze espressionistiche, dalle quali in seguito, nel corso degli anni '80, si allontanerà in favore di un approfondito studio e recupero della classicità intesa non come maniera, bensì come sorgente viva e vivificante da cui attingere emozioni e sentimenti da rivivere, non da ripetere meccanicamente. «Il modo più immediato di pensare il mito è raccontarlo di nuovo», ha scritto un critico letterario, e questa è forse la chiave di lettura adeguata per la ricerca classicista di Riva, culminata nelle esposizioni milanesi degli anni 1989-90, la ricerca di un linguaggio più universale che moderno (definizione spesso limitativa e asfissiante), «che non sia mai gorgo», come ha detto Mario De Micheli, una rilettura dell'antico che non può essere semplice e sereno ritorno ad un'epoca, perché il tempo ha posto tra noi ed essa la sua irreversibilità e, in ogni viaggio cronologico non siamo mai “puri”, ma portiamo invece nel corpo e nell'anima i segni della nostra nascita e della nostra cultura. Per questo Elena Pontiggia ha parlato, accostando i lavori di Riva a Martini e De Chirico, di classicismo «malato, imperfetto» o, addirittura di «classicismo espressionista», sottolineando come l'arte e la vita spesso sfuggano alla custodia del principio di non contraddizione, in pieno accordo con l'interpretazione di Vittorio Sgarbi: «Le sculture di Riva appartengono ad un dopo storia... testimoni di un destino prima che di una scelta, sanciscono il diritto dell'artista all'arbitrio...». Nel corso degli anni '90 lo scultore ha poi notevolmente diradato, nelle opere, i riferimenti alla mitologia e alla letteratura del mondo classico, ma anche nel raccontare la contemporaneità la sua attenzione è sempre rivolta ai sentimenti e alle pulsioni che disegnano il contorno stesso di una vita umana pienamente vissuta: l’amore nelle sue infinite dimensioni, la maternità, la sensualità, la solitudine angosciante del singolo, tutte esperienze-ponte tra l’”essere gettato” in un tempo e in uno spazio troppo determinati e l'eternità mobile del passato e del futuro. Sergio Zavoli ha visto in ciò la «testimonianza intellettuale di Riva nel suo schierarsi per le forme collegabili alla leggibilità, convinto che solo il normale è poetico...», una scelta che può essere considerata l'elemento di continuità tra le differenti manifestazioni di una ricerca che è, come ha scritto Francesco Piero Franchi, «un tormento, uno scavo, uno sperimentare la cui durata coincide con quella della vita artistica dell'autore».
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"When I was first introduced to Riva's works, my art historical roll-a-dex turned to prior works in clay. I recalled Tangara terracottas, Etruscan works, fast forward to some clay pieces I had seen in the Bargello, to clay works by Bernini, Duquesnoy, and Mochi. And I especially thought that Riva had been taken by the brilliant works by the scapialitura sculptors who works in Milan and Rome at the end of the 19th and throughout the 20th centuries. Collectively, it is these works that fed the imagination of Riva to move to his own world of manipulation of clay.
But the negative spaces of Riva's works -- those areas that are not filled with materials -- are also important, and one wonders if he had looked to his earlier 20th century brethren such as Giacometti, and to Gonzalez. I have a feeling that somewhere back in Riva's studio there are earlier experiments of his work in this realm of the surreal, of the absurd, that he too had produced works that feed off of this outer realm of our consciousness.
The big imponderable for me with Riva's works is his use of color: I'm undecided whether it functions or not. What is certain, however, it that its inclusion gives his works an edge that I guess would otherwise leave the work bereft or deprived.
Works of art never function in a void and come alive with discourse and engagement sparked any number and combination of means: by allusions to art history, a sense of place, to biographical data about an artist, and to descriptions to their works. How these elements come together is also part of the game. More often than not it is a rebus as to how to put these thoughts and observations together, and more often than not, it is what we bring to the discourse that creates a deeper experience with the work in question. Perhaps because of the musings above, your own engagement with the works of Riva are richer than ever".
Timothy J. Standring (Gates Foundation Curator of Painting & Sculpture Denver Art Museum)

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Link:  
http://www.flickr.com/photos/roel1943/3307001881


Vedi anche qui, qui e qui
Fonte

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