sabato 21 maggio 2011

FOTO CHE NON PARLANO DA SOLE

…“Molte di queste fotografie date per “inspiegabili” in realtà possono essere spiegate abbastanza bene, almeno per ipotesi, da chi conosce un po’ la storia della fotografia vernacolare, che soprattutto nei primi anni del Novecento si andò popolando di “foto curiose”, di scherzi fotografici, di calembour visuali poi utilizzati come cartoline da spedire agli amici. Ma ammettetelo, alcune di queste resistono anche alle nostre ipotesi più audaci. Eppure chi le immaginò e le scattò aveva chiara in mente la loro ragione d’essere, la storia che intendevano raccontare, lo scopo a cui dovevano servire. Quello scopo, quella ragione, quella spiegazione sono andate perdute, perché erano strettamente legate a un contesto verbale (un album, una lettera) ma ancora di più a un contesto di relazioni umane, dai quali traevano senso e spiegazione. Decontestualizzate, quesste immagini diventano opache, pur rimanendo chiarissime nel loro contenuto oggettivo. Quel che vediamo è ancora chiaramente identificabile: una sedia, uno scheletro, un’avvenente fanciulla, un bambino, un signore grasso… Sostantivi e aggettivi per descriverle ne abbiamo quanti ne vogliamo. Siamo invece a corto di verbi. Possiamo dire cosa c’è in quelle immagini, ma non cosa ci fa quello che c’è.
Certo, questa perdita della dimensione originaria apre nuove divertenti e interessanti vie a nuove storie, nuove contestualizzazioni, nuove decifrazioni, ardite connotazioni, questa volta tutte a libera disposizione dell’osservatore, che può semplicemente godere con animo surrealista degli accostamenti incongrui che vede, o intervenire con sensibilità narrativa razionale costruendo storie e spiegazioni adeguate, nelle quali il mistero viene spiegato. Ma al di qua di questa lettura creativa e soggettiva, il senso razionale di queste immagini ci resta ottuso.
Benvenute allora queste foto orfane di spiegazione, perché ci costringono a riconoscere che le fotografie non parlano mai da sole. Che il loro significato, in massima parte, risiede fuori dalla cornice delle forme visibili rimaste impresse sulla sua superficie. Che il significato non si stampa mai nell’immagine come fa l’impronta del referente. Che è questa la prima menzogna della fotografia, farci credere di essere un messaggio compiuto, una frase critta nella lingua universale, a tutti comprensibile. Che siamo invece noi a far parlare le immagini, e ciascuno in fondo lo fa secondo la propria cultura e sensibilità. E questo vale per tutte le fotografie, anche per quelle che un significato proprio, chiaro ed esplicito, sembrano possederlo, sembrano custodirlo dentro l’immagine per rilasciarlo a comando di fronte a una pura e semplice osservazione.
Non è così. Ogni fotografia di questo mondo è un mistero polisemico e ambiguo: e questo mistero è un tranello tanto più pericoloso quanto più è nascosto dietro un’apparente trasparenza. Davanti a qualsiasi immagine ci venga sotto gli occhi, dovremmo sforzarci di compiere lo stesso sforzo di completamento critico del senso a cui questi piccoli rebus senza soluzione ci costringono.
Lo dico ancora una volta, temo lo dirò fino alla nausea: le foto non ci parlano, ci interrogano. Sta a noi rispondere”
Fonte

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