domenica 6 novembre 2011

L’AFRICANITÀ DI CHRIS OFILI

Chris Ofili, personalità significativa della Bad Painting e rappresentante della globalizzazione nell’arte, ha universalmente imposto un nuovo immaginario simbolico dell'africanità, miscelando tradizione melanconica e romantica con vizi e virtù della cultura moderna occidentale.Nel 1999 il Brooklyn museum di New York usò parole forti per lanciare Sensation, la mostra di opere della collezione di Charles Saatchi.

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Blossom, 1997

Ad attrarre l’attenzione dell’allora sindaco di N.Y. Rudolph Giuliani fu un dipinto di C. Ofili, The holy Virgin Mary, che rappresenta una Madonna di colore con palle di sterco di elefante sul petto circondata da decine di piccole immagini, natiche, seni e vagine ritagliate dalle riviste porno, collocate proprio là dove, nei dipinti antichi di questo soggetto, trovavano posto putti e cherubini.
Giuliani si scatenò, bollando l’opera come «sick stuff», roba da pervertiti e minacciando di sospendere il finanziamento di 7 milioni di dollari al museo, ma il risultato finale fu solo quello di lanciare la carriera di Ofili.

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Un inglese di colore
Ofili aveva iniziato a inserire sterco di elefante nelle sue opere già molto tempo prima di realizzare The holy Virgin Mary, durante un viaggio di studio nello Zimbabwe. Nero e nato in Inghilterra da genitori nigeriani, inizia a –come dirà lui stesso- incorporare l’Africa nei suoi lavori. L’elefante, infatti, è un simbolo di potere economico e sociale e i suoi escrementi rimandano ai concetti di fertilità e religiosità. Addirittura, in certe culture africane, lo sterco viene mischiato con la terra per costruire le case.

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Dietro la decoratività che contraddistingue le sue opere, il suo originario pointillisme e l’uso che fa del colore e della forma trasmettono sensazioni di forza e sicurezza e nascondono una precisa connotazione politica, in cui i soggetti neri sono volutamente trattati in modo poco serio: «Talvolta i soggetti più spinosi e impegnativi devono essere presentati in modo leggero e scintillante per attirare lo spettatore. Poi, lentamente, quando lo spettatore si è abituato, altri strati di lettura cominciano a rivelarsi, a schiudersi alla sua mente. I miei dipinti sono stratificati, e la superficie ha sempre la funzione di sedurre».


clip_image001[6] Blossom, 1997

I primi lavori, realizzati agli inizi dello scorso decennio, quando, dopo una borsa di studio spesa in Zimbabwe, Ofili comincia ad imprimere il suo marchio di fabbrica sulle tele. Lo sterco di elefante è utilizzato in primis come elemento d'appoggio delle tele, e spesso come didascalia rifinitissima dell'opera stessa. “Usare palle di sterco è un modo per sollevare i dipinti dal terreno e dare l'idea che siano venuti fuori dalla terra, piuttosto che essere semplicemente appesi al muro”.
  clip_image001[8] The Adoration of Captain Shit and the Legend of the Black Stars 1998

Più sorprendentemente il letame è usato come elemento costitutivo della decorazione del dipinto, come un ciondolo o un diadema per abbellire le donne affascinanti e caratteristiche che l'artista ritrae sulla tela. I volti tipici, ognuno singolarmente originale nella capigliatura, nell'abbigliamento e negli accessori, sono presentati nella carrellata di acquarelli che riempiono la quinta sala della Tate. E' proprio nelle opere su carta che Ofili riesce a liberare sommamente la propria energia e spontaneità creativa. Una discesa verso le proprie radici etniche e, più in generale, verso le origini della storia umana. Nell'arte di questo artista, nato a Manchester nel 1968 ma di origine nigeriana, la secolare cultura africana si mescola con la cultura hip hop e rap moderna. Un pointillisme acceso e vivace, dove, come tante perline colorate, le piccole macchie di colore si perdono fra glitter e ritagli di riviste.
Eppure l'arte di Chris Ofili non è affatto mero decorativismo. Nelle grandi tele la più pura estetica produce un ossimoro accostandosi a riflessioni personali e sociali.

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In No Woman, No Cry del 1998, le lacrime che scendono sul volto della donna rappresentata racchiudono la piccolissima icona del volto del figlio assassinato, Stephen Lawrence, teeneger di colore vittima del razzismo nel 1993.  Grande fonte di ispirazione per l'artista è la religione. Attraverso l'arte Ofili riesce ad andare a fondo di quel sentimento religioso vissuto passivamente da bambino, quando frequentava scuole cattoliche e visitava la chiesa la domenica. Motivi biblici compaiono fin dai primi lavori.
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The Holy Virgin Mary, realizzata nel 1996 e presentata l'anno dopo alla Royal Academy, suscitando non poco sgomento fra pubblico e critica, fonde in un unico lavoro l'iconologia classica della tradizione pittorica rinascimentale e lo stereotipo della donna di colore. La cultura pop sposa la devozione ed il sacro si perde nel profano. Il tema spirituale rimane un'ossessione nel corso di tutta la carriera successiva. Nell'ultima sala dove sono presentate le opere realizzate dopo il trasferimento definitivo di Ofili a Trinidad nel 2005, i titoli parlano chiaro. clip_image004
Confession

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The Raising of Lazarus sono dipinti diversi, nuovi. Le tele sono ancora più grandi, finalmente appese e non più sostenute da elementi di sterco poggiati sul pavimento. Chris Ofili è cresciuto e non vuole più meditare su cosa sia bello e non agli occhi del pensiero comune, ma decide piuttosto di lasciarsi andare ad una “estetica neutrale”. La superficie glitterata delle prime opere ha ceduto il passo a dipinti meno appariscenti. Grandi zone di colore piatto ed uniforme richiamano alla mente le opere di Marc e Macke, esponenti del Der Blaue Reiter. Ofili non ha mai nascosto in alcun modo la sua predilezione verso il movimento pittorico tedesco, fondato nel 1911 da Kandinsky. Ad esso sono dichiaratamente dedicati una serie di dipinti realizzati al momento del suo arrivo ai Caraibi. Il tema della notte regala un fascino Sublime a questi lavori. L'artista riesce pienamente nell'intento di mostrare la realtà avvolta dalle tenebre: una sincera rappresentazione del buio, in nessun modo deformato dalla presenza di luci artificiali. L'omaggio che Ofili rende al movimento artistico di inizio del secolo scorso è dovuto al rispetto nutrito dall'artista inglese per quella forsennata subordinazione della figurazione agli impulsi interiori dell'uomo. Come gli artisti tedeschi auspicavano “una vittoria dell'irrazionalismo orientale sul razionalismo artistico occidentale” (G.C. Argan), così l'artista britannico ritrova nella civiltà primitiva di Trinidad un impulso a rinnovare la sua pittura. Chris Ofili ha il dono di cogliere e catturare la carica mistica che si nasconde nella realtà circostante, sia che essa sia la caotica e multietnica vita urbana londinese, sia che sia la natura incontaminata e placida delle isole caraibiche. Il concetto di spiritualità per il pittore è decisamente ampio ed esula da un mero utilizzo di motivi biblici.

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The Upper Room, 2005-2007

Nella Upper Room, installata nuovamente negli spazi della Tate Britain, dove venne realizzata, in collaborazione con l'architetto David Adjaye, in una precedente occasione nel 2002, il simbolismo cristiano dell'ultima cena incontra il credo Hindu nel dio scimmia Hanuman. L'immagine dei dodici commensali, ognuno dipinto in un colore predominante, si richiama al disegno della scimmia con calice di Andy Warhol. A capotavola il Dio dorato. L'effetto complessivo è assolutamente suggestivo, quasi ipnotico. E' effettivamente questa la reazione che l'arte di Chris Ofili sa scatenare. Di fronte agli occhi neri e profondi delle sue donne, di fronte alla bellezza dell'universo rubata e fissata sulla tela, si resta abbagliati; ma giusto il tempo per riprendersi e scoprire dietro la superficie del quadro un ricettacolo infinito di rimandi culturali e personali. Il grande merito è il coraggio. L'artista non ha paura di osare, di giocare con l'ironia e di mescolare le carte, ma pur restando sempre fedele a se stesso. E se è vero che “la fortuna aiuta gli audaci”, il caso di Chris Ofili ne è l'emblema.
Fonte
clip_image007 Strange Eyes
signed, titled and dated 2001 twice on the stretcher,
oil paint, polyester resin, elephant dung, map pins and glitter on canvas

clip_image010 Feinin – Chris Ofili, The Holy Virgin Mary, 1996

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"untitled" , 2002
gouache, paper collage on paper

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"Eye to Eye II" , 2003

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"untitled" , 2003
bronze water colour on paper

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"untitled" , 2003
gouache on paper

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untitled , 2003
pencil, water colour on paper

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"untitled"
2005
water colour,pencil on paper

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"Blue Moon"
2005
bronze

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"Silver Moon"
2005
nickel silver

© Chris Ofili

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