sabato 27 aprile 2013

ANGELO DALL'OCA BIANCA | ART

Dall'Oca pittore: riferimento obbligato per una storia della cultura d’immagine veronese a cavallo tra il XIX e il XX secolo; artista acclamato con quasi fanatica devozione, poi abbandonato e banalizzato, costretto all'esilio delle memorie; risorto in parte, per dovere di verifica storica, alla fine degli anni ‘60; di nuovo relegato a ruolo di staffa, più personaggio che artista vero e proprio, in un contesto di valori cosiddetti "provinciali" e indiscriminati.
 clip_image001(ANGELO DALL'OCA BIANCA) Piazza delle Erbe 1910 - 1920

La sua qualità originale, il peso evolutivo della maturità e della trasgressione, partecipano a tutto tondo dello spessore culturale di un lungo periodo storico in cui le testimonianze dallochiane coincidono con quelle dell'identità cittadina. Orfana di tali premesse analogiche, privata delle sue "strade poarète", delle piazze affollate di popolani, delle chiese monumentali e di quelle neglette della periferia; rapinata della più autentica e inequivocabile veronesità, la pittura di Dall'Oca risulterebbe esibizione manieristica, folklore asettico e convenzionale; un'arte "pitòca" come la definirebbe il linguaggio vernacolo; mentre, per contro, proprio da una corretta rilettura e dal riordino dei suddetti elementi partecipativi, può rinascere un viaggio di riconversione utile, in grado di restituire all'artista prestigio e categoria non solamente in sede locale, bensì in una più dilatata geografia culturale.

ANGELO DALL'OCA BIANCA. ANIME ASSOLTEANGELO DALL'OCA BIANCA. ANIME ASSOLTE
       
Angelo Dall'Oca Bianca era nato a Verona, in vicolo Cavalletto, il 31 marzo 1858, figlio di un modesto carrozziere dalle incerte fortune. Temperamento inquieto e ribelle, aveva consumato infanzia e pubertà bighellonando per strade e fondaci. La morte del padre lo aveva, ad un tratto, riconciliato con la famiglia, con la madre in particolare, figura nobilissima di donna per la quale il giovane nutrirà in seguito autentica venerazione. Aveva ripreso a lavorare, esercitando umili mestieri; contemporaneamente si era dato allo studio e al disegno, con sempre più accanita determinazione.



ANGELO DALL'OCA BIANCA

Protetto dallo scultore Ugo Zannoni, fu iscritto all'Accademia Cignaroli dove seguì i corsi di pittura tenuti da Napoleone Nani; frequentò anche, per qualche tempo, i corsi di nudo all'Accademia di Venezia dove conobbe Favretto che gli fu, oltre che amico, prezioso consigliere e maestro. I suoi quadri ebbero presto successo; esposti in rassegne provinciali e nazionali attrassero facilmente l'interesse di collezionisti e di critici; ancora giovanissimo, guadagnò consensi, premi, denaro; poco più che ventenne era già considerato un maestro, presente nelle più importanti rassegne nazionali ed europee.
Subito dopo, la gloria; si badi bene: non il trionfo manufatto o pattuito come potrebbe apparire da frettolose letture delle testimonianze; un attestato, invece, di profonda estimazione, fino a costruire intorno al personaggio veronese un vero e proprio alone di mito.


ANGELO DALL'OCA BIANCA---

Per circa trent'anni si è parlato di Angelo Dall'Oca Bianca come fosse stato l'unico vero ambasciatore della cultura veronese e veneta, come se la pittura veronese non avesse mai conosciuto espressione così valida dai tempi favolosi del grande Paolo Caliari, e che solamente in lui rivivesse con la pienezza dei consensi. Vuoi il carattere, vuoi la sagace gestione della propria immagine, vuoi l'intelligente inserimento e il pilotaggio visivo di soggetti particolarmente sentiti, soprattutto a livello locale, il pittore si è espresso in modo schietto e persuasivo, districandosi tra inevitabili pastoie retoriche di deamicisiana memoria, eludendo, almeno fino agli anni "dieci" del Novecento, la morta gara del quadro di genere, gratuito, inventato con I'ossessiva fantasia dell'arrampicatore sociale o del fabulatore di provincia.
L'ultima sofferta apparizione, dopo una latitanza di diciotto anni nei confronti degli "estimatori" locali, risale alla Biennale di Verona del 1908; l'ultima testimonianza corale, ottanta opere, troppe forse, esposte su invito, alla X Biennale di Venezia nel 1912. Il silenzio, allora, della "critica", l'indifferenza dei visitatori, il riserbo di alcuni amici che già lo avevano portato in palma di mano, suggerirono all’artista la strada più giusta da percorrere, quella di un’indipendenza creativa proiettata al di fuori della mischia, estranea, volutamente, ai fenomeni culturali che stavano trasformando il tessuto connettivo culturale contemporaneo con nuove prospettive estetiche; un rifugio, al riparo da polemiche, aggressioni, avvenirismi, dove accanto a rovinose involuzioni, sarebbero convissuti momenti di autentica, generosa laboriosità, illuminati da opere dignitose se non, talora, di tono elevato. A scadenze non prefissate il capolavoro. Una lunga stagione, dunque, prolungata nell'altezzoso e, sprezzante isolamento; vissuta, tuttavia, con l'entusiasmo di un neofita; intercalata da riconoscimenti "camerateschi" e alimentata da segrete speranze; patita tra polemiche intemperanti, ironiche finzioni, gesti plateali e chiusure claustrali; fino alla morte, sopravvenuta il 18 maggio 1942.

ANGELO DALL'OCA BIANCA  (Torri) ANGELO DALL'OCA BIANCA  (Torri)

Cosa ha dipinto Angelo Dall'Oca Bianca nel corso della sua vita d’artista? Come ha dipinto? Ha dipinto Verona: Verona e la sua gente; Verona e le sue strade, i monumenti, le piazze, i banchi del mercato popolare, le feste dei rioni, gli ammiccamenti scherzosi della primavera e il disfacimento patetico degli autunni. Ha esaltato la bellezza, frivola o esuberante della giovinezza e il giardino avvizzito della vecchiaia; sempre accostando i due capolinea in un percorso di immagini che, fuori di metafora, sono quelli stessi della vita umana.
La "sua" Verona; quella che lo aveva visto balordo nella prima adolescenza; una città, un luogo, sacro per devozione e sentimento, che nella pittura è rimasto intatto, incantata meraviglia delle prime scoperte, a dispetto del tempo e delle trasformazioni che con esso si sono avvicendate. La Verona di Dall'Oca è la grande interlocutrice dell'artista che, proustianamente, ha scavato nel profondo delle sensazioni, della memoria, alla ricerca di un altro tempo, fertile, e di privati amori, di sapori e di profumi, verso cieli variegati di nuvole; cilestrini, trasparenti nel tessuto cromatico che li descrive; alla ricerca di un'età serena, matura, carica di dannunziano erotismo e di pirandelliana, graffiante ironia ("Gli asini a parlamento").

ANGELO DALL'OCA BIANCA - I maldicentiANGELO DALL'OCA BIANCA - I maldicenti
         
II pittore ha saputo riconoscere, nel coacervo delle alternanze, i soggetti principali che onorerà protagonisti del proprio racconto: i quartieri poveri, diseredati, dove malinconia e disavventura sottolineano l'abbandono in cui era caduta la città dopo la sua annessione al regno d'Italia e I'immane tragedia dell'inondazione del 1882. Case popolate di gente umile, sgomenta, dove il canto gracile di tante "Carbonète" si mescola al basso continuo dei "De profundis"; la vita che scorre, come scorre l'acqua del fiume tra il "sandon da tera" e la "sandona" dei vecchi molini, uguale, nei giorni di magra e in quelli di piena quando si fa difficile reggersi sul "peagno" per salvare il macinato.

Angelo Dall'Oca Bianca - Le civetteAngelo Dall'Oca Bianca - Le civette
  
Il pittore accorre alle esequie in un giorno senza sole ("Ora pro ea") sulla scarpata antica di Santa Libera; indugia tra le "Civette" di Piazza Erbe; s’incontra con gli "spazzini" e le "donne da rosario" nell'ora della "Prima messa"; ricorda "sacrestani" e "fioraie", "sabbionari" e allegre lavanderine sulla "rosta" di Ponte Pietra; accende il proprio entusiasmo davanti alla "basilica di San Zeno" in occasione della festività patronale; ritrae eleganti "signore", in piedi o sedute, all'interno di vetuste, aristocratiche abitazioni settecentesche; ritrae gli amici, Berto Barbarani, il poeta dei pitochi, e Renato Simoni, la "testa fina" di una generazione di veronesi tipo esportazione. La sua pittura racconta la città, la gente, le tradizioni, i costumi; attenta, ossequiosa agli insegnamenti accademici, nei primi impegni della giovinezza; libera, al limitare di mode e correnti contemporanee, quando l'artista scopre, e lo fa presto, il veleno della nostalgia.

ANGELO DALL'OCA BIANCA - Il carpioncino e la trotella ANGELO DALL'OCA BIANCA - Il carpioncino e la trotella

Ecco perché la scelta delle Immagini è caduta su questo breviario simbolico visceralmente sentimentale. Un Dall'Oca messo insieme con tanto amore, corrispondente al vero Dall'Oca, che non riesce affatto il superficiale illustratore di cartoline o il generico imbonitore di scenette; un pittore vero, invece, autentico, grande artista, dotato di qualità rare, tanto nella composizione grafica che assai spesso si rifà all'insistente sperimentazione e alla ricerca fotografica (l'artista ha lasciato oltre duemila lastre impressionate, frutto di un’applicazione metodologica all'avanguardia rispetto alla sua epoca), quanto alla partitura pittorica vera e propria, all'uso, cioè, di una tavolozza pregiata in cui il colore si fa luce e vestizione figurale; un colore che non rimane accidente complementare, ma che interagisce come incidenza primaria, magico legame tra il reale visibile e l'immaginato artistico.

Dall'Oca Bianca Angelo Paradiso terrestre 1912Angelo Dall'Oca Bianca  Paradiso terrestre 1912
         
E se è pur vero che il pittore ha oscillato stilisticamente tra appetiti divisionisti, post impressionisti, liberty e adesioni alla tradizione veneta, tali affacciamenti costituiscono un "a latere" che solo a tratti spiega il senso della ricerca, la necessità del racconto stesso. Dall'Oca si fa portavoce, assumendo di volta in volta i parametri di uno "stile" (ma più che tale è un "modo"), di pensieri, attenzioni, circostanze, che trascendono l'identità fisica dell'immagine per restituirla al regno della meditazioni, apologo aperto: la vita umana è un dono troppo limitato per contenere l'uragano di un grande amore; troppo breve per ospitare bellezza, incanto, magia; troppo avara per concedere esaurienti contemplazioni; "non si fa in tempo ad aprire le finestre di casa, la mattina, che è già ora di rinchiuderle".
L'età verde degli innamoramenti si accompagna così, sempre (o quasi sempre), a quella rinsecchita della nostalgia. Nella Verona dallochiana, di fronte all'impassibile (ma anche ciò non è del tutto vero) fissità dei luoghi importanti, soprattutto quelli in cui sembra affiorare il mito dell'eternità intangibile, la precarietà del travaso umano si traduce in letteratura accorata dell'anima, e si accompagna alla sensibilità delle singole occasioni, una colorazione pittorica che richiama non solo le didascalie interiori delle immagini, ma ne interpreta puntualmente i significati, ora spavalda, aggressiva, luminosa, intonata alla più intensa espressività sensuale ("Verona in un mattino di primavera" - 1884), ora corale e solenne, venata di lusinga linguistica ("Piazza Erbe" - 1903); intristita e dimessa in un piccolo, grande capolavoro ("Dopo messa" - 1883); nostalgica e paradossale ("Santa Libera:Verona nei miei ricordi" - 1937); intensa come una preghiera ("Poemi del cielo" - 1937) quando specchia nel sereno del Benaco cattedrali di nuvole: gli ultimi sogni, schietti, dell'artista.

Angelo Dall'Oca Bianca - Pescatori di sabbia o VeronaAngelo Dall'Oca Bianca - Pescatori di sabbia o Verona
         
Liberata dalla demagogia di, purtroppo numerose, licenze creative, digressive e screditanti, la vera pittura di Angelo Dall'Oca Bianca racconta attraverso simboli e analogie, con proprietà e autorevolezza, la storia degli uomini. Da qualche tempo il nome del pittore veronese è ricomparso nei cataloghi di importanti mercati d'arte ed è stato fatto oggetto di "rivisitazioni " e la mostra alla Casa di Giulietta, col suo taglio specifico, ha voluto essere un fattivo contributo alla riscoperta del "Maestro" veronese, facilitata dalla pubblicazione di un esauriente catalogo scritto da Umberto G. Tessari in chiave di commento per una lettura delle opere non astrusa o sofisticata; una mostra che ha riconciliato la qualità al soggetto, la difesa di un artista al giusto peso del suo lavoro, ed è stata nello stesso tempo, occasione di incontro e proposta di godimento spirituale.
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