domenica 31 maggio 2009

FIUMARA D’ARTE "LA PORTA DELLA BELLEZZA"

Cadono i teli, volano i fuochi d'atificio, sale l'applauso e le manine s'affollano a toccare la loro firma sul muro di un cavalcavia della tangenziale di Catania. Un muro di dieci metri in cemento armato caro, sinora, a chi aveva bisogno del buio per tirare a campare di droga e affini. Un muro, oggi, blu come il cielo cobalto di Sicilia che accoglie e sostiene tonnellate di terracotta nella città delle cento fornaci. Arte intervallata dai versi dei più grandi poeti. Sculture ispirate all'archetipo della Grande Madre. Il tema di quest’anno era La Grande Madre: la riflessione sul ruolo della don­na nella società contemporanea. Nell’anti­chità l’idea di un’entità superiore era basata su caratteristiche propriamente femminili come la riproduzione, la fertilità e la prote­zionenutritiva, e quindi la trasfor­mazione e la crescita. Tutto ciò ha un enor­me carico simbolico e metaforico, poiché si riallaccia alla rinascita e ricrescita stagiona­le del mondo naturale: il tempo ciclico le­gato ai raccolti, alle fioriture, al movimento degli astri nella vol­ta notturna, al ciclo di­morte e di nascita. La società contempora­nea vive ormai solo l’illusione di un tempo lineare, per questo è importante restituire alle nuove generazioni il senso della ciclici­tà e il valore dell’archetipo femminile.Adagiate su 500 metri divisi da un sottopassaggio che da oggi si chiama Porta della Bellezza. Opere di bambini fuse con quelle dei maestri. In alto le creazioni, in basso le mattonelle realizzate nelle nove scuole del quartiere di Librino, divenuto il simbolo del degrado della città, famosa per la bancarotta dei conti pubblici. Un posto dove fino a poche settimane fa non c'era nemmeno l'illuminazione pubblica. La festa di Librino per l'inaugurazione della Porta della Bellezza suggella un'amicizia singolare fra gli artisti e la strada nel nome di un meceante, Antonio Presti. Figlio della Sicilia-bene, era destinato a fare il costruttore come il padre. A costruire costruisce, ma non fa palazzi né ristrutturazioni. Fabbrica utopie svuotando di significato le parole "sogno irrealizzabile". La Porta della Bellezza e il muro di Librino sono una delle tante scommesse che ha vinto lottando contro pigrizia e burocrazia. Immaginate un quartiere di centomila abitanti progettato da Kenzo Tange e lasciato, come ammette il sindaco, al più totale abbandono. Immaginate un agglomerato di palazzi mal tenuti impregnato di disoccupazione e di disagio sociale, dove i bambini non sempre sono considerati una grazia di Dio e dove l'unico punto di riferimento è una suora minuta delle Figlie di Maria di Don Bosco.



La "Porta della Bellezza" è stata costruita con oltre 9.000 forme di terracotta realizzate da 2.000 bambini del quartiere sotto la guida degli artisti coinvolti, ma modellate e firmate dagli stessi alunni, divenuti così "giovani autori", con lo scopo di renderli protagonisti di un percorso artistico-etico che cambierà la storia e l’identità del quartiere. Le formelle compongono le 13 opere monumentali, ideate da 10 artisti e da giovani allievi dell’Accademia di Belle Arti di Catania.
Queste opere, abbinate a testi poetici, saranno applicate lungo una prima porzione di muro di 500 metri in corrispondenza dell’accesso al quartiere sui 3 km totali che tagliano Librino come una ferita. L’insieme delle opere si ispira alla tematica della "Grande Madre". Il progetto si è potuto realizzare grazie alla partecipazione delle 9 scuole elementari e medie, degli oratori e dei centri giovanili del quartiere, che accolgono 10.000 allievi. La poetessa Maria Attanasio ha scelto alcuni dei brani poetici che saranno parte integrante dell’opera.
Il critico d’arte Ornella Fazzina ha selezionato gli artisti Giovanni Cerruto, Michele Ciacciofera, Fiorella Corsi, Rosario Genovese, Lillo Giuliana, Italo Lanfredini, Simone Mannino, Pietro Marchese, Giuseppina Riggi, Nicola Zappalà, e gli allievi dell’Accademia di Belle Arti di Catania, Tiziana Pinnale, Sergio Carpinteri, Maria Riccobene, Graziella Russo, Valeria Castorina, Valeria Sidoti, Miryam Scarpa, Corrado Trincali, Elisa Raciti, Marco Agosta, Alberto Celano.
Oltre il malgoverno e la mafia quello che ha punito di più i siciliani è stato chetarsi nella provvidenza terrena. Il punto è: se un muro di cemento abbandonato, scrostato, buio e pauroso può diventare un'opera d'arte, cos'altro è impossibile?



Perché la Porta della Bellezza? Perché successivamente, il museo d’Arte Contemporanea continuerà coinvolgendo 100 condomini del quartiere. Grazie all’ausilio di artisti di fama internazionale (registi, fotografi e video makers), diversi palazzi di Librino, accoglieranno i lavori artistici installati sulle facciate cieche, segnando così l’apertura del museo all’aperto Terzocchio - Meridiani di Luce. «Una volta acquisita la pratica del fare - conclude Antonio Presti - le gigantografie e le proiezioni video sulle facciate di tutti i condomini, potranno manifestare la bellezza spirituale di tutti gli abitanti del quartiere».
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sabato 30 maggio 2009

LA PERFEZIONE NELLA FORMA

La fotografia di Robert Mepplethorpe incontra i capolavori di Michelangelo: è la grande mostra 'La perfezione nella forma' che, inaugurata il 26 maggio, si protrarrà sino al 27 settembre alla Galleria dell'Accademia di Firenze. L'esposizione affianca alle opere maestose di Michelangelo come il 'David' e i 'Prigioni' 93 scatti di Mepplethorpe e mette davanti agli occhi del visitatore un'inaspettata similitudine tra le diverse opere. I curatori della mostra, Franca Falletti e Jonathan Nelson, hanno infatti voluto evidenziare il principio profondo che lega l'artista dello scatto fotografico al grande maestro del Rinascimento: ovvero la ricerca dell'equilibrio, della nitidezza e della perfezione nei volumi definiti dalla linea e scolpiti nella luce. Le fotografie di Mepplethorpe infatti scavano e modellano il corpo umano quasi come fosse una scultura, attraverso giochi d'ombre le forme diventano plastiche, sembrano bucare la foto. Si tratta soprattutto di nudi maschili, un altro tratto che lo avvicina agli studi di Michelangelo, ma anche corpi di donne e nature morte. Mepplethorpe stesso confessò di amare molto Michelangelo e arrivò a dichiarare "se fossi nato cento o duecento anni fa avrei fatto lo scultore, ma la fotografia è un modo più veloce per vedere le cose, per fare scultura". La mostra è nata proprio dal legame che Mepplethorpe sentiva per Michelangelo e che aveva confessato alla sua cara amica e musa Patti Smith. La cantante ha riferito questa passione del fotografo allo studioso Jonathan Nelson e da lì è partita l'organizzazione dell'esposizione."Robert sarebbe stato onorato di vedere le sue fotografie esposte accanto ai capolavori di Michelangelo, io mi sono commossa" ha dichiarato Patti Smith che in questi giorni ha visitato la mostra all'Accademia.
Foto Gallery
Robert Mapplethorpe, Patti Smith , 1975, stampa in gelatina d’argento- gelatin silver print , 40.6 x 50.8 cm, 16 x 20 in, New York , Robert Mapplethorpe Foundation

Robert Mapplethorpe, Anguria con coltello Watermelon with knife , 1985, stampa al platino su carta platinum print on paper, 66 x 55.9 cm, 26 x 22 in, New York , Robert Mapplethorpe Foundation

Robert Mapplethorpe, Foglia-Leaf , 1989, stampa in gelatina d’argento- gelatin silver print , 50.8 x 61 cm, 20 x 24 in, New York , Robert Mapplethorpe Foundation

Robert Mapplethorpe, Jim, Sausalito , 1977, stampa in gelatina d’argento- gelatin silver print , 40.6 x 50.8 cm,16 x 20 in, New York , Robert Mapplethorpe Foundation

Robert Mapplethorpe, Phillip Prioleau , 1982, stampa in gelatina d’argento- gelatin silver print , 40.6 x 50.8 cm, 16 x 20 in, New York , Robert Mapplethorpe Foundation

Robert Mapplethorpe, Derrick Cross , 1985, stampa in gelatina d’argento- gelatin silver print , 40.6 x 50.8 cm, 16 x 20 in, New York , Robert Mapplethorpe Foundation

Robert Mapplethorpe, Ajitto, 1981, stampa in gelatina d’argento- gelatin silver print, 76.2 x 101.6 cm , 30 x 40 in, 113 x 87.6 cm, 44 x 34 in, con la cornice- with frame, New York, Robert Mapplethorpe Foundation

Robert Mapplethorpe, Lisa Lyon, 1982, stampa in gelatina d’argento- gelatin silver print, 40.6 x 50.8 cm, 16 x 20 in, New York, Robert Mapplethorpe Foundation

Robert Mapplethorpe, Thomas, 1987, stampa in gelatina d’argento- gelatin silver print, 50.8 x 61 cm, 20 x 24 in, New York, Robert Mapplethorpe Foundation

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venerdì 29 maggio 2009

SAURIS IN MASCHERA


E’ il più alto borgo “autentico” della Carnia e domani 30 maggio Sauris fin dal primo mattino Sauris si trasformerà in un grande atelier all’aperto. Ad animarlo saranno 25 scultori dell’Associazione “Mascherai alpini”, esperti nella creazione di maschere di legno, della tradizione popolare del carnevale alpino.

Non si tratta di un Carnevale fuori stagione ma una manifestazione, “Su la maschera”, che mette in vetrina una particolare forma d’arte delle nostre montagne.Le piazzette e i vicoli all’interno del suggestivo borgo di Sauris di Sopra, famoso anche per le antiche case in legno e pietra, vedrà alternarsi due gruppi di artisti/artigiani: un gruppo sarà al lavoro il 30 e 31 maggio, l’altro gruppo subentra nelle giornate del 1 e 2 giugno 2009. “E’ una manifestazione che vuole recuperare e valorizzare una delle tradizioni più significative del nostro territorio non solo a scopi turistici, ma anche pensando ai nostri giovani”, spiega Stefano Lucchini, sindaco di Sauris.Proprio un obiettivo a più largo respiro anima la manifestazione e per questo giocano un ruolo significativo nell’iniziativa i laboratori che ogni pomeriggio coinvolgeranno gratuitamente chi vorrà approfondire l’arte dell’intaglio con esperti dell’Associazione “Mascherai Alpini”.

La manifestazione è organizzata dall’Associazione Lilium (Operatori Turistici ed Economici di Sauris), sostenuta dal Comune di Sauris, dalla Provincia di Udine, dalla Regione Friuli Venezia Giulia, e quest’anno è supportata dall’Associazione del Mascherai Alpini.L’evento “Su la maschera” coinvolge scultori e scultrici, provenienti da Lombardia, Trentino, Veneto, Friuli, Slovenia, Austria ed Ungheria, invitati non solo a mostrare al pubblico tecnica e bravura nella realizzazione delle maschere della propria tradizione locale, ma anche a condividere la conoscenza dei riti e dei contenuti del proprio carnevale; al di là delle apparenti divisioni nazionali e regionali è possibile infatti rintracciare un’identità culturale alpina comune.


Nella piazza principale di Sauris di Sopra, accanto alle postazioni di lavoro dei mascherai, nascerà un “totem” dall’insieme delle maschere alpine, realizzato a più mani; saranno inoltre allestite mostre tematiche sulle maschere e i diversi carnevali.
A contorno saranno presenti stand gastronomici per degustare tutti i prodotti tipici di Sauris.


La località della Carnia è raggiungibile da Tolmezzo seguendo la SS52 e passando da Ampezzo.
Info: Ufficio turistico Sauris (Ud), tel. 0433/ 86076
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giovedì 28 maggio 2009

ADDIO A MAURI

L'arte non è arte se non è impegnata, ideologica, interdisciplinare.
È il leitmotiv del percorso creativo di Fabio Mauri (classe 1926, romano), appena scomparso. Il suo ruolo di artista totale implicava uno scambio continuo e paritario con teatro, cinema, poesia per dare impatto alle sue ossessioni: guerra (da lui definita “Il contrario”), fascismo, razzismo. Per le sue innumerevoli aperture Lea Vergine lo ha definito “turista di tutte le arti possibili”. Partito da un azzeramento della pittura con i suoi “Schermi” che sembravano preconizzare il vuoto dello spazio televisivo e la sua invasiva presenza di oggi, Mauri strinse un intenso sodalizio con molti scrittori d'avanguardia, da Balestrini a Sanguineti, da Arbasino a Manganelli. Negli anni '70 si è dedicato alle performance a sfondo politico e sociale, in una sintesi tra la pittura e il teatro sperimentale e documentaristico. Fra le più famose spicca “Che cosa è il fascismo?” (1971), con statue-simulacri di gerarchi fascisti e filmati d'epoca dell'Istituto Luce. E poi la performance “Intellettuale”, tre anni dopo, in cui Pasolini si farà proiettare sul corpo il film “Il Vangelo secondo Matteo”. Nella Biennale di Venezia del 1993 Mauri presenta “Il Muro occidentale del Pianto”, un muro di valigie che evocano l'orrore dell'Olocausto.


In tutte queste opere l'artista ha cercato di coinvolgere lo spettatore per farlo sentire responsabile di una realtà tragica. Ha sacrificato la sfera estetica per privilegiare un'arte comportamentale che forse col passare degli anni risulterà pesantemente datata.
Ad un certo punto della vita sentì il dovere anche morale, dopo tele espressionistiche non indegne e la scoperta-choc dei sacchi di Burri, d’accedere all’arte della performance e del corpo. Mettendo in scena i suoi dilemmi, che erano quelli stessi, storici, d’una generazione del rimosso. Mentre impazzavano le stramberie postmoderne le stucchevoli poltrone Proust, lui gettava sul grugno delle gallerie-bene poltrone molto Mies van der Rohe, ma simulate di pelle umana: rianimava il tragico fantasma della Storia. E mentre altri «attori» di body art e di giochetti Gutai usavano la performance in chiave spesso spensierata e tardo-dadaista, Mauri mise in gioco se stesso come ombra e come complesso di colpa (non a caso Lea Vergine, per lui, disturbò il celebra distico di Valéry: «il pittore si dà con il suo corpo»).

Vivendo sulla propria pelle, lui non ebreo, ma vittima comunque delle stoltizie delle ideologie, le colpe dei padri complici e d’un mondo d’improvviso dissennato (quello che, dai versi di Hölderlin e Rilke, passa ai grugniti tribunizi del nazismo e agli orrori decorosi dei campi di concentramento) o alla quieta e non meno colpevole banalità del male teorizzata da Hannah Arendt, però voltata in salsa Finzi Contini. Recuperando nel recinto claustrofobico d’una galleria romana o veneziana i ludi sinistri del fascismo, scimmiottante le parate naziste, con opere che crepitano titoli in un minaccioso tedesco o ci parlano della fine della Storia e delle storie (molto prima di Ed Ruscha «dipingendo» ingigantita la parola End sui suoi schermi incinti di nulla e di allarmante vuoto, color avorio).
quest’ultimo signore dell’arte, di simpatia davvero impagabile, che aveva conosciuto la durezza dei ricoveri psichiatrici (come il cognato Ottiero) e il rigore certosino dei suoi ritiri mistici, è impensabile senza l’eco del suo contesto famigliare, cui partecipava anche Pasolini (con cui fonda Setaccio e poi anche Officina. Ma sarà compagno di strada pure del Gruppo '63 e di Quindici) , aveva cominciato a morire insieme alla morte dei suoi, ripetendo «perché loro prima di me?».

Decide così di proiettare gli intimi filmini di casa su strutture immobili come cassettoni e cassaforti. Questo stava a cuore a Mauri, artista molto più grande della sua fama, scrittore fiammante (vedi i suoi Scritti recentemente usciti da Garzanti), filosofo dell’immagine, concettuale emotivo e concreto: l’etica incrollabile dell’arte, che smascheri l’inganno.
Fonte: http://www.lastampa.it
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mercoledì 27 maggio 2009

LO "STREET ARTIST" SHEPARD FAIREY

Per la prima volta arriva in Italia Shepard Fairey, lo 'street artist' diventato famoso in tutto il mondo per aver creato l'immagine della campagna di Barack Obama.

L'artista americano lavorerà a Venezia per due settimane, fino al 7 giugno, per creare murales ed opere d'arte che serviranno a finanziare i restauri promossi da Sms Venice, onlus dedicata alla salvaguardia del patrimonio artistico e architettonico della città.

Fairey dipingerà i teli di copertura delle impalcature di alcuni cantieri tra cui quello delle Procuratie Nuove a San Marco e realizzerà dipinti itineranti, le cui vendite serviranno per finanziare gli interventi di restauro promossi dalla onlus. I suoi lavori saranno esposti (grazie al supporto del Comune e della Soprintendenza) nelle piazze e nei luoghi pubblici più famosi di Venezia e successivamente messi all'asta, come due delle sue più importanti opere 'Evolve Devolve' e 'Shark Wawe' (cm 180x130 entrambe). Shepard è anche l'artista che ha dipinto la bicicletta che Lance Armstrong, il campione americano vincitore di ben 7 Tour de France, sta usando in questa edizione del Giro d'Italia.
Related articles
Nike Stages Art Tour: Shepard Fairey (coolhunting.com)
Shephard Fairey and Kenny Scharf Design for Lance Armstrong (psfk.com)
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martedì 26 maggio 2009

MARK TOBEY TRA ORIENTE ED OCCIDENTE

Alla Galleria Blu di Milano, una mostra personale del grande artista americano con venti opere scelte realizzate fra il 1953 e il 1972


Quarant’anni dopo la prima esposizione datata ottobre 1968, l’arte di Mark Tobey torna ad essere ospitata negli spazi della Galleria Blu di Milano con una mostra personale intitolata “Mark Tobey. Mediatore tra Oriente ed Occidente”, che ha aperto al pubblico da martedì 12 maggio sino al 17 luglio 2009. E se all’epoca fu una singola opera dell’artista americano a comparire nella rassegna intitolata “L’Immortale”, che presentava importanti maestri internazionali come Arp, Ernst, Fontana, Goetz, Magnelli, Matta e Picasso, nella nuova esposizione saranno presentate venti opere scelte, realizzate tra il 1953 e il 1972, negli anni di una maturità ormai piena.
Il debutto italiano alla Biennale di Venezia del 1948


La prima comparsa di Tobey in Italia si era avuta alla Biennale di Venezia del 1948, cui sarebbero seguite altre presenze nelle esposizioni del 1956 e del 1958, edizione quest’ultima che gli valse il Gran Premio per la pittura. Un bel gruppo di suoi lavori facevano bella mostra di sé nel padiglione degli Stati Uniti assieme a dipinti di Mark Rothko e alle sculture di David Smith e Seymour Lipton.
La predilezione per la linea in opposizione alla massa, come nell’arte orientale


In quell’occasione, nel catalogo della Biennale, Frank O’Hara faceva lucidamente il punto sugli esiti fino a quel momento raggiunti dall’artista e parlava della sua pittura facendo riferimento alla sua «predilezione per la linea in opposizione alla massa» (la massa come elemento tipico della cultura e dell’arte dell’Occidente, la linea di quelle dell’Oriente) citando il confronto che egli aveva cercato con alcuni maestri della pittura orientale e che Tobey stesso riassumeva sottolineando di essere giunto «a scoprire da me stesso che si può ‘vedere’ un albero non solo in termini di luce e di massa, ma anche come linea dinamica».Su questi presupposti si è poi sviluppata tutta la sua arte, segnata dapprima dalla “scrittura bianca” (la white writing), fondata sulla calligrafia orientale, e poi evoluta nella scrittura di colore, a volte in una costruzione spaziale densa e composita, altre volte in una semplicità grafica disarmante.


Il catalogo con saggio introduttivo di Heiner Hachmeister, del Comitato Mark Tobey di Muenster


La mostra è accompagnata da un catalogo introdotto da un saggio di Heiner Ha-chmeister, del Comitato Mark Tobey di Muenster, che definisce Tobey «mediatore tra Oriente e Occidente» e sottolinea i «contatti» italiani del maestro americano, da quelli iniziali con Piero della Francesca e i suoi affreschi di Arezzo a quelli con Piero Dorazio, i cui «lavori degli anni ’50 - scrive - anche se alimentati concettualmente da fonti costruttiviste, sono stati senza dubbio influenzati da Tobey, almeno per quanto riguarda la loro superficie visiva». Ma anche, da non trascurare, gli influssi sulla prima produzione di Tancredi.


a cura di Valentina Redditi
Scheda Tecnica
“Mark Tobey. Mediatore tra Oriente ed Occidente”fino al 17 luglio 2009
Galleria BluMilano, Via Senato 18
Orario di apertura:lun-ven, ore 10-12.30 e 15.30-19; sab, ore 15.30-19; dom e festivi chiuso
Biglietti:Ingresso libero
Catalogo:con saggio introduttivo di Heiner Hachmeister (Comitato Mark Tobey di Muenster)
Info:Tel. (+39) 02 76022404
Uessearte Como, Via Natta 22
Tel. (+39) 031 269393 - Fax (+39) 031 267265
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lunedì 25 maggio 2009

IL MAESTRO DELLA NATURA

Sta volgendo al termini una bellissima mostra. Per la prima volta in Italia 200 opere di uno dei più grandi artisti giapponesi di ogni tempo, in mostra nella capitale al Museo Fondazione Roma (già Museo del Corso).Fortemente voluta dal Presidente Prof. Avv. Emmanuele Francesco Maria Emanuele, promossa dalla Fondazione Roma in collaborazione con l'Honolulu Academy of Arts, prodotta e organizzata in collaborazione con Arthemisia, la mostra è a cura di Gian Carlo Calza. Le opere di Utagawa Hiroshige (1797-1858), artista capace di contemplare ed esprimere la natura nel suo lato più armonico, ancora oggi veicolano il messaggio di una intensa capacità di ascolto religioso che accomuna i sentimenti dell’uomo al respiro del cosmo, avvicinando l’infinitamente piccolo allo sconfinatamente grande. Divisa in cinque sezioni, la mostra presenta opere provenienti dall’Honolulu Academy of Arts, che ospita fra le sue numerose opere una delle più importanti collezioni d’arte asiatica al mondo.
La prima sezione, Il mondo della natura, raggruppa stampe che sono dei capolavori di rappresentazione di elementi della natura. Piante e fiori, uccelli, pesci e altri animali, elementi della vita cosmica con cui l’uomo deve mantenersi in armonia.


La seconda, Cartoline dalle province, è dedicata a opere in cui sono rappresentate le più significative località del Sol Levante.


La via per Kyoto, terza sezione della mostra, è dedicata alle due grandi vie che collegavano la capitale imperiale di Kyoto a quella amministrativa di (Tokyo) Edo. In questa sezione è contenuta l’opera Cinquantatré stazioni di posta del Tokaido, universalmente considerato il capolavoro di Hiroshige.



Nella quarta, Nel cuore di Tokyo, è rappresentato il vedutismo di Edo, la “capitale orientale”, l’attuale Tokyo dove risiedeva lo sh_gun, il capo militare e politico del Giappone. Un centinaio e più di luoghi che gli abitanti e i visitatori frequentavano costantemente.


Una sezione a parte, Il vedutismo di Hiroshige nella prima fotografia giapponese, testimonia l’influsso che il maestro ebbe sul nuovo mezzo visivo, e sull’immaginario dei primi fotografi. Hiroshige ebbe una notevole influenza sulla pittura europea e soprattutto sull’impressionismo e post-impressionismo. Fu imitato da numerosi artisti del XIX secolo, primo fra tutti Vincent Van Gogh. Saranno infatti presenti in mostra anche due riproduzioni di capolavori dell’artista, ispirati direttamente ai quadri di Hiroshige, conservate al Van Gogh Museum di Amsterdam e impossibili da trasportare a causa delle delicate condizioni conservative. Le opere sono state riprodotte al vero e in altissima risoluzione dalla Rai, nell’ambito del progetto le mostre impossibili secondo una speciale tecnica di elaborazione digitale.

ROMA, FONDAZIONE ROMA MUSEO 17 MARZO > 7 GIUGNO 2009
A CURA DI GIAN CARLO CALZA
DA MARTEDI' A DOMENICA 10.00 > 20.00 / LUNEDI' CHIUSO / FROM TUESDAY TO SUNDAY 10.00 AM > 08.00 PM
LA BIGLIETTERIA CHIUDE ALLE 19.15 / TICKET OFFICE WILL CLOSE AT 07.15 PM

APERTURA STRAORDINARIA 2 GIUGNO SPECIAL OPENING 2nd JUNE

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domenica 24 maggio 2009

AVENUE PATRICE LUMUMBA

Guy Tillim è nato a Johannesburg nel 1962. Vive e lavora a Città del Capo.Ha vinto importanti premi, fra cui la Robert Gardner Fellowship in Photography nel 2007, il Premio Leica Oskar Barnack per la serie Jo'burg nel 2005 e il Premio DaimlerChrysler per la Fotografia nel 2004.
Tra le sue mostre personali ricordiamo: Jo'burg et?Avenue Patrice Lumumba, Fondation Henri Cartier-Bresson, Parigi, 2009; Avenue Patrice Lumumba, Fundãçao Serralves, Porto, 2009; Congo Democratic, Extraspazio, Roma, 2007; Petros Village, Museo di Roma in Trastevere, Roma, 2006 Michael Stevenson, Città del Capo, 2006; Leopold and Mobutu, Photographers’ Gallery, Londra, 2005; Jo'burg, Rencontres Photographiques de Bamako, Mali, 2005.Fra le collettive più recenti cui ha preso parte: Face of Our Time, SF MOMA, San Francisco, 200809; Documenta XII, Kassel, 2007; Global Cities, Tate Modern, Londra, 2007; 27° Biennale di San Paolo, Brasile, 2006; Africa Remix, sedi varie, 200407; Snap Judgments: New Positions in Contemporary African Photography, International Center of Photography, New York, 2006.



Le immagini della nuova serie in mostra, “Avenue Patrice Lumumba”, scattate tra il 2007 e il 2008, rappresentano una sorta di “cammino attraverso strade di sogno” che percorre - ancora una volta - la Repubblica Democratica del Congo, insieme all’Angola, al Benin, al Ghana, al Mozambico e al Madagascar. Tillim rende omaggio alla perdita di un grande uomo, Patrice Lumumba*, e di una grande occasione per l’Africa. Il suo sguardo trattenuto cattura la fragilità di un paesaggio fatto di resti architettonici, monumenti coloniali abbattuti, uffici pubblici, grandi alberghi decaduti, case popolari, residenze private, giardini pubblici, scuole e università, del quale sporadiche presenze umane sono i muti testimoni. Uno scenario che sembra contenere a fatica le calamità degli ultimi cinquant’anni di storia dell’RDC.
Un paesaggio indubbiamente africano, guardato con il senso del lutto per un sogno che non si è avverato, e trasformato dall’occhio del fotografo in una sorta di paesaggio interiore, silenzioso, di grande bellezza, quasi sacrale. Ne risultano, come sempre nel caso di Guy Tillim, delle immagini di ostinata eleganza.
Guy Tillim. Avenue Patrice Lumumba

Periodo: 14 maggio - 26 giugno 2009
via San Francesco di Sales 16/a 00165 Roma
Orari: lunedì – venerdì 15.30 – 19.30
+39 06 68210655
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