martedì 30 giugno 2009

LA VIDA LOCA

Christian Poveda è un fotografo e regista franco-spagnolo.
Il suo impegno politico durante la guerra del Vietnam negli anni ‘70 gli consente di sperimentare la forza delle immagini e il potere che queste possono avere su determinati eventi. È stata questa la spinta che lo ha avvicinato al fotogiornalismo e al documentario. Tutto il suo lavoro è rivolto ad avvenimenti politici e sociali straordinari. La filmografia di Christian Poveda vanta oltre 16 documentari presentati nei principali festival e mercati televisivi mondiali: La Vida Loca è uno di questi, presentato nel 2008 al Festival internazionale del cinema di San Sebastian. I suoi lavori sono apparsi su Actuel, Bunte, Cambio 16, El Pais, Epoca, Figaro Magazine, GEO, Interviù, Express, Observer, Le Monde 2, Mondial Basket, Newsweek, New York Times, Nova Magazine, Panorama, Paris Match, Photo, Picnic, Playboy, Quick, Sete, Stern, Time Magazine e VSD.
Paragonate alle “marabundas”, fameliche formiche dell’Amazzonia che divorano tutto quello che trovano sul loro cammino e sul modello delle bande giovanili di Los Angeles, le maras stanno seminando il terrore in tutta l’America centrale e in particolare a El Salvador. La Vida Loca è lo studio di un fenomeno di violenza di importazione americana.



Risultato di un’infanzia terribile e piena di odio, odio per coloro che si sono presi tutto senza restituire nulla. L’odio di chi non ha mai avuto niente. L’odio dello sfruttamento, della sottomissione e dell’umiliazione quotidiana. Un odio che è stranamente accattivante, che incarna la disintegrazione della vita familiare all’interno della società salvadoregna e la disperazione in cui questi giovani sono cresciuti.


La Vida Loca è la vita reale di quelle parti: giovani che soffrono, che ci sfidano, che ci guardano con supponenza, che si offendono e che ci detestano. Nonostante questa visione del male nutra le nostre paure e generi incubi, c’è la speranza che questo documentario invochi la nostra compassione e ci porti a interrogare sulla nostra idea del mondo. E così, come animali intrappolati, questa generazione perduta risponde con pessimismo, rivolta e morte. Assenza totale di comunicazione.
La Vida Loca è un documentario sulla solitudine umana assoluta.



PREMIERES MONDIALI

- Festival de San Sebastian - International Film Festival, Spagna- "Visa Pour l'Image"
- International Festival of Photojournalism, Perpignan, Francia
- Festival Internacional de Cine de Morelia, Messico
- Festival Internacional San Luis Cine (Argentina)
- Festival du Scoop et du Journalisme d'Angers (Medaglia d’onore), Francia
- IDA's 2008 IDA Documentary Awards Competition
- Pare Lorentz Award Finalists (USA)
- Festival Internacional del Nuevo Cine Latinoamericano de La Habana. (Menzione speciale al Prix documentaire de la Mémoire), Cuba
- DocPoint, Helsinki Documentary Film Festival, Helsinki, Finlandia
- Göteborg Film Festival, Göteborg, Svezia
- Ambulante 2009, festival del documentario itinerante, Messico
- Festival Internacional de Cine en Guadalajara, Messico
- Cinema Novo Festival, Bruges, Belgio
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lunedì 29 giugno 2009

RIFUGIATI

Darfur, regione occidentale del Sudan, grande due volte l'Italia con circa sei milioni di abitanti (un quinto dell'intera popolazione del Sudan), descritta da Kofi Annan come "l'inferno della terra", perché scenario dal 2003 di una guerra che coinvolge pesantemente la popolazione civile.

Un conflitto che ha, da una parte, cause naturali (l'impoverimento delle risorse naturali dovuto alle ricorrenti grandi siccità), dall'altra origini etnico-religiose ed economiche (la convivenza tra "arabi-pastori-nomadi" e "africani-agricoltori-sedentari", le alleanze o i conflitti tra tribù, la ribellione di fronte alle carenze governative, l'azione di milizie armate filogovernative i famigerati Janjaweed, la presenza di giacimenti di petrolio).

Sudan, regione del Darfur. Maggio/Giugno 2005© Marco Vacca 2005Nord Darfur, Campo profughi di Abu Shouk
La contabilità di tre anni orribili (tra 100 e 400 mila morti, più di due milioni di rifugiati) fa del Darfur la più grave crisi umanitaria del pianeta, come ricorda Laura Boldrini (portavoce dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, UNHCR) di cui di seguito riportiamo ciò che ha scritto per presentare il volume Refugees Darfur-Bahr El Ghazal (Silvana Editoriale) che raccoglie le immagini che Marco Vacca ha realizzato nel Darfur e nel Sud Sudan durante il conflitto appena concluso, raccontando le condizioni di vita di circa due milioni di profughi interni attraverso le attività di assistenza sul campo alle popolazioni residenti e ai profughi delle ong riunite nel comitato Darfur (Cesvi, Coopi, Cosv e Intersos). Lo stesso comitato e l'Assessorato alle Politiche Culturali della provincia di Roma hanno reso possibile la pubblicazione del volume.

Sudan, regione del Darfur. Maggio/Giugno 2005© Marco Vacca 2005Villaggio di Kass, Sud Darfur. distribuzioni di aiuti alimentari ai profughi del campo
"Era un giorno di mercato. Noi donne eravamo andate a vendere le sementi. Arrivarono a cavallo, armati e cominciarono a sparare su tutti. In poche ci salvammo e solo perché ci fingemmo morte. I nostri figli lasciati a casa erano già stati uccisi dalle bombe lanciate dagli aerei"."Le donne e le ragazze sono state violentate, le donne anziane come le bambine. Non vogliamo parlarne perché ci fa male e ci sentiamo a disagio ma abbiamo bisogno di stare insieme perché questo ci dà conforto"."Grida, spari all'impazzata, tutti che scappavano e loro che saccheggiavano e portavano via ogni cosa. Poi il fuoco ovunque. Questo è quello che ricordo dell'arrivo dei Janjaweed nel mio villaggio".

Sudan, regione del Darfur. Maggio/Giugno 2005© Marco Vacca 2005Kulbus, West Darfur. donne in attesa della visita medica
Le storie del Darfur nella loro drammaticità non si differenziano molto l'una dall'altra a riprova che in questa regione del Sudan, grande come la Francia, dal 2003 è in atto un conflitto che sistematicamente colpisce la popolazione civile. Il segretario Generale dell"Onu Kofi Annan ha descritto la situazione come "l'inferno della terra". Il Comitato Internazionale della Croce Rossa ha dichiarato che si tratta di una "regione del terrore". Gli Stati Uniti hanno apertamente definito "genocidio" le incessanti atrocità che si consumano nelle terre del Sudan occidentale. Tra le 100mila e le 400mila persone sono state uccise, la maggior parte con armi leggere, o sono morte per malattie correlate alla crisi. E per non soccombere alla violenza circa 2,2 milioni di persone sono fuggite dai propri villaggi per riparasi in altri più sicuri all'interno del Darfur o si sono spinte nel confinante Ciad.A circa tre anni da quando prese il via quest'ennesima guerra africana, la crisi del Darfur resta la più grave crisi umanitaria del pianeta.

Sudan, regione del Darfur. Maggio/Giugno 2005© Marco Vacca 2005Nyala Sud Darfur: campo profughi di Kalma - Interno di una scuola
Nonostante la Risoluzione dell'Onu, i vari accordi tra Khartoum e i gruppi ribelli e le esortazioni della comunità internazionale a porre fine alla violenza, la sicurezza in Darfur continua ad essere un miraggio.L'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) ha iniziato a operare prima in Ciad, per assistere i rifugiati in fuga, e in un secondo momento ha avviato l'operazione all'interno del Darfur.Migliaia di persone nel corso del 2003 iniziarono a fuggire in Ciad fermandosi alla frontiera in accampamenti spontanei, senza servizi ed esposti alle incursioni dei Janjaweed. L'UNHCR montò un'enorme operazione logistica mirata a spostare i rifugiati in campi situati più all'interno e attrezzati, dove era possibile disporre di quantità sia pur minime di acqua. Il primo campo venne aperto nel gennaio 2004 e in pochi mesi ne sono stati allestiti 12 in grado di alloggiare oltre 200mila persone.

Sudan, regione del Darfur. Maggio/Giugno 2005© Marco Vacca 2005West Darfur, villaggio di Garsila
A causa della carenza di infrastrutture stradali nelle regioni orientali del Ciad, solo attraverso il ponte aereo è stato possibile trasferire in tempi brevi tonnellate di aiuti indispensabili alla costruzione e gestione dei campi profughi. Nello sforzo di offrire alla popolazione colpita migliori condizioni di vita hanno partecipato molti Organismi non governativi (Ong) tra cui Intersos, Cesvi, Coopi e Cosv che in vari ambiti, e con grande dedizione e professionalità, operano nella gestione dei campi in Ciad.
Le foto di Marco Vacca – fotografo di lunga esperienza e di spiccata sensibilità per le tematiche umanitarie - descrivono il dramma della gente del Darfur in maniera incisiva ma senza trascendere nell'orrore. L'obiettivo di Vacca legge la dignità nei volti assorti delle madri che tentano di salvare i figli denutriti. Legge lo sfinimento di chi resiste alle privazioni ma anche la forza di chi ha perso tutto e stenta a vedere un futuro migliore. Immagini profonde e piene d'amore.


Sudan, regione del Darfur. Maggio/Giugno 2005© Marco Vacca 2005Villaggio di Kass, provincia di Nyala. Sud Darfur
Chi èMarco Vacca è nato nel 1956, è laureato in Filosofia e vive a Milano. I temi della politica internazionale lo hanno visto sempre presente: dal conflitto in medio oriente all'Iraq, dall'Angola al Rwanda. dai Balcani alle elezioni presidenziali americane,dai flussi migratori verso l'Unione Europea, alla tragedia delle Twin Towers. Nel 1999 con il lavoro sulla fame nel sud del Sudan è stato tra i fotografi premiati nel World Press Photo. http://www.marcovacca.com/


Sudan, regione del Darfur. Maggio/Giugno 2005© Marco Vacca 2005West Darfur, villaggio di Garsila
La mostra

Periodo dal 1 Luglio al 6 Settembre 2009

Orariotutti i giorni dalle 11 alle 21 Giovedì e Venerdì dalle 11 alle 23 lunedì chiuso

Costo biglietto Intero: 7,50 euro Ridotto:6,00 euro Scuole:4,00 euro

Per informazioni tel. 02.5811.8067 - 02.8907.5419

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domenica 28 giugno 2009

TEHRAN'S STREET ART

Se attraversate le strade di Tehran, potete inbattervi in alcune delle immagini che seguono. Se girate per le strade di Tehran, vedrete un paese, la cui popolazione è al di sotto dei 35 anni. La Islamic Revolution ha infatti vietato i condom nel 1979. Il risultato è un paese con una popolazione giovane, con una percentuale di studentesse universitarie superiore a quella degli colleghi maschi. Nulla – non una barba, non un Basij, non un bastone, non un cannone,- può reprimere la creatività pro-libertà nelle strade dell’Iran. Il video è stato fatto da un balcone in Tehran. Le immagini che seguono sono di arte recentemente posta sulle strade di Tehran

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sabato 27 giugno 2009

I PAESAGGI FRA TERRA E CIELO

Van Gogh è dappertutto. Sulle confezioni di biscotti, sui manifesti giganti appesi all’aeroporto, sui muri del centro della città, perfino sull’etichetta della birra Ueli. Il volto del pittore maledetto, incorniciato dalla barba rossiccia, ha letteralmente invaso Basilea.

Campi di grano in Provenza 1888


E’ qui, nella Svizzera nord-occidentale, in questa città appoggiata sulle sponde del Reno, che il Kunstmuseum ospita la “prima mostra dedicata interamente ai paesaggi” dipinti dall’artista olandese. Non proprio un tema secondario nella produzione del pittore, tra i più amati dal grande pubblico. Come non pensare, infatti, quando viene evocato il suo nome, ai campi di grano mossi dal vento, oppure ai cipressi che si stagliano su di un cielo percorso da nuvole?


Campo di fiori in Olanda 1883

L’esposizione, intitolata “Vincent Van Gogh. Fra terra e cielo: i paesaggi”, in cartellone fino al 27 settembre, offre al visitatore una panoramica di settanta tele. Un percorso che permette di seguire i cambiamenti e l’evoluzione dell’artista lungo la sua breve, folgorante parabola. Dai primi quadri olandesi, realizzati a Nuenen, dominati da tinte scure, “sporche”, che segnano l’avvio della carriera di Van Gogh alle opere del periodo parigino, caratterizzate da una forte luminosità e nelle quali si nota la rielaborazione personale delle suggestioni impressioniste. Per arrivare alle tele di Arles, dove i colori si fanno più luminosi e le pennellate più decise, i cieli si tingono di un azzurro intenso e i campi di grano della tonalità dell’oro. Fino ai quadri dipinti durante la degenza alla clinica di Saint –Remy: forti, vibranti, pieni di vortici e gorghi, pervasi da un atmosfera mistica, quasi soprannaturale.



Cipressi 1889


Entrata dei giardini pubblici di Arles 1888

La conclusione del percorso è affidata alle opere che scandiscono gli ultimi mesi di vita dell’artista, trascorsi ad Auvers-sur -Oise, nel nord della Francia. Una serie di paesaggi che mostrano gli esiti più audaci dell’arte di Van Gogh: le linee ora curve, ora dritte, le pennellate che si piegano e si contorcono, i colori a volte sovraccarichi, a volte freddi rispetto, per esempio, agli anni di Arles. La pittura dell’artista viene, qui, portata alle estreme conseguenze con i panorami da lui raffigurati che sembrano racchiudere torsioni, movimenti, turbini perfino negli elementi più statici. Sulle tele realizzate nel luglio del 1890 si chiude la mostra. Di lì a poco, la sera del 27 di quello stesso mese, Vincent Van Gogh si sparerà, proprio in quella campagna che è stata al centro di tanti suoi quadri. Un colpo di pistola che, due giorni dopo, lo condurrà alla morte, ad appena trentasette anni.
Di lui ,Camille Pissarro, con lucida preveggenza, aveva detto: « Costui o diventerà pazzo o ci farà mangiare la polvere a tutti quanti. Se poi farà l’uno e l’altro, non sono in grado di prevederlo…»


Fattoria in Provenza 1888


Paesaggio marino vicino a Les Saintes Maries de la Mer 1888

Ai paesaggi di Van Gogh, la mostra di Basilea affianca quaranta opere dei suoi contemporanei, provenienti dalla collezione del Kunstmuseum, dipinti di Monet, Renoir, Pissarro, Cezanne, Gaugin che permettono al visitatore di stabilire un rapporto con l’arte che fornì ispirazione e confronto al pittore olandese

Pescando in primavera, il ponte di Clichy,1887

“Vincent Van Gogh. Fra terra e cielo: i paesaggi”.
Kunstmuseum, Basilea, fino al 27 settembre. Orari: da martedì a domenica dalle 9 alle 19. Ingresso: 28 chf, ridotto 18 chf, dai 13 ai 18 anni 10 chf, gratis sotto i 12 anni.
http://www.kunstmuseumbasel.ch/ http://www.vangogh.ch/

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venerdì 26 giugno 2009

MALICK SIDIBÉ

È nato nel 1935 a Soloba in Mali. A Bamako studia disegno e gioielleria e, subito dopo il diploma, il fotografo Ge'rard Guillat-Guignard, noto come Ge'ge' la pellicule, gli chiede di decorare il suo negozio. È il 1955 e Malick rimane folgorato dalla fotografia. Rimane da Ge'ge' come apprendista e nel 1962 apre il suo atelier, lo Studio Malick, nel quartiere popolare di Bagadadji: inizia la sua carriera. Se l'altro grande della fotografia africana, Seydou Keïta, e' famoso per i suoi ritratti in studio, Malick racconta anche le notti di Bamako: il Mali ha ottenuto l'indipendenza da due anni e la città ha voglia di festeggiare. Malick frequenta le feste dei ragazzi che si vestono all'occidentale e ballano al suono del giradischi: le sue foto ritraggono giovani pieni di gioia, di voglia di vivere, di fiducia in un avvenire che, tutti sono certi, sarà bellissimo. Non c'e' avvenimento a cui Malick non venga invitato: se non puo' partecipare, se ne sposta l'orario o addirittura il giorno. A metà degli anni Settanta decide di smettere di fotografare le feste in città o in riva al fiume e continua il lavoro in studio, lasciando con le foto di questo periodo la testimonianza fondamentale di un Paese e di un'epoca. I ritratti in studio continuano a mantenere lo spirito dell'artista: lui stesso mette in posa le persone, dopo averci brevemente chiacchierato. Poi, quando e' soddisfatto, lancia l'immancabile raccomandazione: «Souriez, la vie est belle, souriez!».Nel 1994, durante la prima edizione dei Rencontres de la Photographie de Bamako (la manifestazione piu' importante di fotografia africana) autori e critici occidentali scoprono il suo talento e da li' inizia per lui una seconda giovinezza, questa volta tra Europa e Stati Uniti, dove espone sempre con grandissimo successo.

Malick pero' non e' cambiato: continua a pregare cinque volte al giorno, a lavorare (sia pure a ritmi piu' lenti, a causa dell'età e della salute) e a incontrare chiunque gli voglia parlare. Le sue caratteristiche sono la cortesia, il sorriso aperto e una saggezza allegra e profonda al tempo stesso.Oggi Sidibé é considerato uno fra i più importanti fotografi africani. La Biennale d'arte di Venezia 2007 lo ha consacrato con il Leone d'Oro alla carriera, un riconoscimento doppiamente importante perche' e' la prima volta che viene assegnato a un fotografo. L'artista era già stato insignito del Premio Hasselblad, nel 2003, e, a metà dello scorso marzo, dell'ICP Award (tra i piu' importanti premi del mondo della fotografia).


“Il paese dove lavoro è caratterizato da una grande gioia. Una grande e profonda gioia che pervade ogni cosa e che ha resistito anche durante il colonialismo. Quella gioia viene fuori anche nel lavoro, perché la nostra cultura e molto ricca.”


“Negli anni 60 la gente voleva vivere insieme, con la persona che amava, con i parenti, con gli amici. Piano piano questa tendenza a vivere insieme è diminuita, e solo recentemente sta tornando, e le persone stanno ricominciando a formare dei gruppi. Nel numero c’è la forza. Solo negli ultimi dieci anni stiamo ricominciando a capire che in gruppo si è più forti, e che possiamo trarne tutti vantaggio.”
“Nel nostro mestiere è importante stare insieme ai giovani che stanno crescendo, perché i giovani sono i soli che sentono il bisogno di essere fotografati.”

“Ragazzi e ragazze non potevano frequentarsi in presenza degli adulti, per questo crearono i loro club lontano dalle loro cittadine, per non farsi vedere. Solo a partire dagli anni 70 gli adulti cominciarono a frequentere anche loro i club, si sedevano intorno alla pista e guardavano i giovani ballare. In questo modo potevano tutti godere della gioia di quelle feste."

"Nei club la competizione era su quante ragazze riuscivi ad avere. Le ragazze non pagavano per entrare, mentre i ragazzi dovevano pagare. Così i club frequentati dai giovani più galanti attiravano più ragazze. Ed era importante per i ragazzi spendere tutti i soldi per essere attraenti e galanti. Le ragazze venivano volontieri se la musica era alla moda, era la più nuova."


"Nei club i giovani non prendevano droga e non consumavano neanche alcool durante gli anni 60. La loro droga era esclusivamente la musica.”

“Quando qualcuno viene nel mio studio, e magari è un pò timido, io cerco di creare l’ambientazione e l’atmosfera che c’è nei party in cui si balla, così posso prendere il meglio della loro fisionomia, le migliori espressioni del loro volto. Per questo metto sempre musica quando fotografo in studio.”


"I club a Bamako non esistono più dal 1984-85. Dal punto di vista della struttura sociale, oggi l’Africa sta copiando l’Occidente. Prima del ’76 la gente amava stare insieme, come in un collettivo, in una comune. Ma dal ’76 il problema per me e per molte persone è l’individualsmo, che è diventata una influenza importante. Questa è l’influenza dell’Occidente."


Citazioni tratte da un’intevista a Malik Sidibe di Lucas Michael
Studio MalickBagadaji Rue 508 Porte 632
BP: 455 Bamako, Mali
email - studiobagadaji@yahoo.fr
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