giovedì 4 marzo 2010

LOT E LE FIGLIE NEI DIPINTI DEL BELTRANO

Il tema di Lot e le figlie permette di rappresentare una scena nella quale giovani fanciulle discinte concupiscono l’anziano genitore, facendolo ubriacare, ma soprattutto mostrandogli le grazie dei loro corpi acerbi. L’iconografia ebbe straordinario successo a Napoli, dove numerosa era una clientela borghese, che amava adornare i salotti delle proprie case con soggetti biblici o devozionale, ma nei quali fossero presenti sante od eroine dalle forme ben acconce e generosamente esposte. Negli inventari napoletani si contano centinaia di quadri con questo soggetto e molti ci sono pervenuti. Il Beltrano si è soffermato più volte sul tema, anche se alcuni dipinti in passato a lui attribuiti, vanno espunti e collocati nel catalogo di altri artisti.
Lot è un Patriarca della Bibbia, nipote di Abramo, figlio di suo fratello Aran e secondo il racconto biblico, egli seguì suo zio nella marcia fino alla terra promessa (Genesi 11, 27 -31) ; ma quando le loro greggi divennero così numerose da non poter più pascolare insieme, decisero di separarsi(fig. 52).

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Lot scelse come suo territorio la valle del Giordano e la zona intorno al Mar Morto, mentre Abramo andò nella direzione opposta (Genesi 13). In seguito, stabilitosi a Sodoma, venne rapito quando la città fu saccheggiata nel corso di una guerra; ma Abramo, venutolo a sapere, insieme ai suoi servi inseguì i razziatori, li sconfisse e liberò il nipote(Genesi 14).
Quando poi Dio decise di distruggere Sodoma e Gomorra, due angeli con sembianze umane vennero ad avvertirlo affinché fuggisse. Una volta che egli li ebbe fatto entrare i due nella sua casa e li ebbe rifocillati i Sodomiti bussarono alla sua porta per prendere i due visitatori e abusare di loro. Lot, per fermare la folla, offrì loro le sue due figlie vergini, perché venissero violentate al posto degli angeli. A questo punto la folla inferocita venne fermata da un lampo abbagliante che fece perdere loro la vista. Egli fuggì con la sua famiglia, ma durante la fuga sua moglie, per aver contravvenuto all'ordine di non voltarsi a guardare alle proprie spalle, fu tramutata in una statua di sale(Genesi 19, 1 – 26).
Quindi si rifugiò in una caverna con le due figlie; ma esse, desiderando concepire dei figli e non essendovi nessun altro uomo in quella regione, gli fecero bere del vino ed ebbero rapporti sessuali con lui mentre era ubriaco. Esse generarono due figli, dai quali discesero i popoli dei Moabiti e degli Ammoniti (Genesi 19,30-38). I musulmani credono che Lot sia un profeta, al contrario degli ebrei e dei cristiani e la notizia che egli abbia fatto concepire le proprie figlie in stato di ebbrezza non è menzionata nel Corano, anzi la si considera una calunnia.

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Il primo quadro che andiamo ad esaminare rappresenta il momento in cui Lot si appresta a lasciare Sodoma con moglie e figlie(fig. 63 ). Esso, conservato in una collezione privata di New York, è stato a lungo ritenuto di Stanzione, mentre invece appartiene al Beltrano, come confermano lo sfondo di panorama sullo sfondo ed il tipico trattamento del fogliame degli alberi alle spalle dei personaggi. Dopo poco la moglie sarà trasformata in una statua di sale ed il vegliardo rimarrà da solo con le due figlie.
Il secondo dipinto fissa un momento ancora precedente, quando sono ancora presenti gli angeli che lo convincono a lasciare la sua città.

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La tela(tav. 48) esitata in un’asta Porro del 2005 è stata da me pubblicata di recente nel mio libro sulla scuola di Stanzione come autografo, ma alcuni esperti conoscitori mi hanno avanzato delle perplessità sulla corretta attribuzione. Una foto del dipinto si conserva nell'archivio della Fondazione Longhi a Firenze tra gli anonimi napoletani del XVII secolo, esso fu pubblicato nel 1975 come opera di Andrea Vaccaro, ma da Ferdinando Bologna è stato restituito ad Agostino Beltrano (comunicazione orale). L'assegnazione trova, secondo Spinosa, “piena giustificazione dal confronto, in particolare, con composizioni mature, come il Sacrificio di Isacco del museo di Capodimonte e il San Girolamo con l'angelo del Giudizio del museo diocesano, che presentano con la tela in esame affinità sia per la tipologia dei personaggi raffigurati, sia per l'impaginazione delle scene entro un impianto paesaggistico di evidente derivazione riberesca, sia per soluzioni formali di ormai avanzata accezione classicista, tuttavia ancora impreziosite dall'uso di materie cromatiche rischiarate e vibranti. Ne consegue anche per questo dipinto una datazione agli ultimi anni di attività del Beltrano”. A mio parere, anche lo scorcio di panorama, corrusco e minaccioso sulla sinistra, sembra classico dell’autore, per cui credo che, ragionevolmente l’autografia possa essere confermata.

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Esaminiamo poi un’altra tela(tav. 49) di collezione privata, con Lot ubriacato dalle proprie figlie. Egli viene raffigurato al centro della composizione, adagiato a terra e colto nell'atto di abbracciare la fanciulla vista di schiena che lo seduce mentre l'altra mesce il vino. Ad animare la scena, un piccolo e vivace cagnolino accanto al piede di una delle figlie. Una scenografia spoglia fatta di un pesante drappo panneggiato sul fondo e di un tappeto rabescato sul quale sono adagiati i personaggi e ove si dispone, sul primo piano a sinistra, una bella natura morta di utensili disposti entro un canestro ed un piatto con del formaggio. L'attenzione al dato realistico, che qui si esprime al meglio, si palesa soprattutto nelle anatomie del vecchio, caratterizzato dall'addome contratto e delle due fanciulle, di cui si apprezzano i corpi robusti e quasi mascolini (si veda quella di spalle), pienamente messi in risalto ed investiti da una luce di ascendenza caravaggesca, in contrasto cromatico col fondo scuro.

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Anche in un’altra composizione(fig. 64), transitata sul mercato ed attribuita al Beltrano da Federico Zeri, vi è in primo piano sulla destra un bel brano di natura morta, nel quale spiccano alcune mele realizzate con grande abilità. L’anziano genitore poggia la testa sul seno prosperoso di una delle figlie, mentre l’altra gli porge una ciotola con il vino che dovrà condurlo all’abbandono dei sensi ed alla perdita di controllo della volontà.
Prendiamo ora in esame una splendida composizione(fig. 65 e tav. 50) anche se dovremo espungerla dal corpus dell’artista per assegnarla definitivamente, dopo tante peregrinazioni, al van Somer.

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Si tratta di una tela di languida voluttà, che venne presentata nel 1971 al primo posto in una memorabile esposizione di pittura napoletana tenutasi presso la Galleria Heim di Londra, dove veniva presentata come Massimo Stanzione. In seguito Causa ha ipotizzato un nome ancora più improponibile: quello di Bartolomeo Bassante. Quindi Federico Zeri ha pensato al Beltrano, seguito, anche se dubitativamente da due specialisti dell’artista quali la Novelli Radice ed il Volpe.
Spinosa, dopo averlo incluso nel suo monumentale repertorio come opera di De Bellis, ha finalmente risolto l’enigma, attribuendo la sontuosa tela al Van Somer, grazie ad una dritta di Edmund Peel, il quale gli segnalava la presenza a Madrid di una replica di un identico soggetto, già ricordato come opera del Vaccaro, da inventari seicenteschi nella prestigiosa raccolta del marchese del Carpio, viceré a Napoli sul finir del Seicento, con modeste varianti, ma, segnata dalle iniziali del Van Somer:le lettere H S E intrecciate, seguite dalla F di Fecit, la stessa sigla presente nella Carità romana della collezione del senatore Bosco a Roma, le iniziali di Hendrick van Somer con la prima lettera di Enrico con cui il pittore si era italianizzato.
“La presenza delle iniziali del pittore fiammingo consentiva, quindi, non solo di restituire a quest’ultimo la composizione madrilena già impropriamente riferita al Vaccaro, ma di assegnargli finalmente con certezza anche la più smagliante redazione d’identico soggetto comparsa presso Heim. Con una datazione che, sebbene non indicata nemmeno nella versione di Madrid, non può che essere, per entrambe le redazioni, successiva al 1635, anno della Carità romana(fig. 66).

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Rispetto alla quale, pur con alcune affinità nella resa fisionomica dei personaggi raffigurati, le due tele con Lot e le figlie, forse tra loro distanti solo di poco, si qualificano per un’ormai più dilatata ed esaltante bellezza pittorica, procurata dall’accresciuta preziosità delle luci e delle materie cromatiche, dai toni caldi e corruschi anche nelle ombre più dense. Pur all’interno di una struttura compositiva e formale di ancor salda inclinazione naturalista, evidenziata in particolare dalla resa sempre asciutta e vigorosa dei volumi e delle epidermidi e dalla traduzione del dato sentimentale sempre contenuta e immediatamente comunicativa”(Spinosa).

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Per finire tratteremo della versione(tav. 51)conservata nella collezione Molinari Pradelli, forse la più famosa, certamente la più bella tela dipinta dal Beltrano.
Essa venne visionata dal Volpe e dopo poco pubblicata, quando ancora era assegnata al Cavallino in un momento di tangenza col Vaccaro, ma la scoperta durante una pulitura della firma, mise fine ad ogni diatriba attributiva. Purtroppo la data era illeggibile nelle ultime due cifre, per cui gli ultimi dubbi sono rimasti sull’esatta collocazione cronologica dell’opera, che appartiene certamente alla fase matura e più feconda del pittore, quando sull’esempio di Stanzione, impreziosisce la sua esperienza naturalista con una tavolozza raffinata dai colori splendenti.
Lo studioso sottolineò la bella impaginazione della composizione, “ariosa e franca, aggiustata e gaia nel colorito”, il fraseggio fresco ed elegante ed un preciso riferimento alle fascinazioni del Cavallino.
La tela fissa il momento in cui Lot viene sedotto dalle sue giovani figlie. Il vegliardo ha un aspetto tranquillo e di fiduciosa attesa, mentre le figlie, dal volto dolcissimo e di una complicità intrigante, bramano a soddisfare ogni più recondito desiderio e pulsione dell’anziano genitore. I panneggi delle vesti sono eseguiti con tecnica raffinata e ricercatezza nella resa cromatica. Sulla destra uno scorcio di paesaggio dalla forte carica espressiva, che evoca città lontane e misteriose.
Favola biblica dalla forte carica lirica, questo dipinto illustra egregiamente un Beltrano in atto di addolcire la sua cifra stilistica, non insensibile alla languida lezione del Cavallino entro cadenze pacatamente sensuali ed ancora capace di quello splendido strappo di paese sulla destra, la cui intensità espressiva cercheremo vanamente in altri suoi esiti precedenti o successivi.

di Achille della Ragione

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