Melara: viaggio tra gli artisti “della bomboletta facile”
Duecentosessantasette mila metri cubi di cemento, acciaio e vetro che dominano Trieste dalla sommità dell’altopiano di Rozzol Melara. Un gigante grigio che sovrasta con i suoi due corpi a ‘L’ la città. Difficile non accorgersi della sua presenza.
Nato nei primi anni ottanta dopo quasi un ventennio di lavori (1969-1981), il complesso residenziale popolare ATER di Melara, più conosciuto come “il quadrilatero” o più pittorescamente come “Alcatraz”, rappresenta il maggior ‘monumento’ al cemento armato che la città ha eretto per le crescenti necessità abitative.
Con i suoi 468 appartamenti è stato – ed è tuttora – uno delle più grandi strutture della nostra provincia.
Concepito e realizzato dallo Studio Celli di Trieste secondo gli allora celebri dettami del “Movimento Moderno”, periodo e stile caro all’architetto Charles-Edouard Jeanneret-Gris conosciuto con lo pseudonimo di Le Corbusier, ricalca con precisione dettami e finalità dello stile citato: tutto nasce e ruota in funzione al cemento armato.
Nato agli inizi del XIX secolo, il Movimento Moderno fece propri i concetti di praticità e utilità, idee sintetizzate dall’architetto tedesco Bruno Taut nei cinque punti cardine di questa architettura: la prima esigenza sta nella migliore utilità possibile dell’edificio a cui, i materiali utilizzati per la costruzione, devono essere subordinati. Altro aspetto chiave è che “ciò che è funzionale è bello”, quindi poco spazio a vetrate, facciate o alle finiture: tutto deve essere estremamente funzionale. Ultimo punto è l’unicità dei rapporti reciproci, cioè l’interazione che l’edificio avrà con le strutture circostanti: la casa, così spiega Taut, deve essere il prodotto di una disposizione collettiva e sociale.
Da questa concezione del costruire nasce la struttura di Rozzol-Melara; con l’idea di un grande “villaggio indipendente” in cui l’abitante possa soddisfare i propri bisogni primari: negozi, scuole e servizi devono essere a portata di mano in nome di una corretta funzionalità sociale.
Nel corso degli anni, invece, il complesso ha visto un costante e lento declino a cui le fredde ed impersonali pareti di grigio cemento hanno assistito; impassibili spettatrici del tramontare dell’idea architettonica moderna, testimoni immobili del degrado a cui la struttura stava andando incontro.
Non tutti però si sono arresi al grigiore della mastodontica struttura. Da qualche anno a questa parte un gruppo si artisti ha utilizzato le pareti del quadrilatero come un’enorme tela da dipingere e riportare alla vita grazie ed ignizioni mirate di colore.
Gli artisti “dalla bomboletta facile” si sono riappropriati della luce che attraversa le enormi finestre e l’hanno impressa sulle pareti dei lunghi corridoi che attraversano i vari livelli della struttura.
Non solo semplici tag (le “firme” spesso stilizzate che vengono lasciate un po’ ovunque, anche nel centro cittadino) sicuramente impopolari visto il comune senso di apparente inutilità e dell’effettivo grado di deturpazione degli edifici che spesso comportano, ma delle opere d’arte visiva più comunemente chiamata “street art”.
Pareti che hanno preso vita grazie all’estro e al gusto di ragazzi che hanno deciso di rendere più viva e colorata la propria casa, il proprio quartiere, dando un senso al monumento di cemento armato tanto caro a Le Corbusier.
Non voglio entrare nel merito della legislazione e nella diatriba tra chi considera la street art come una forma di crimine e quelli che, diversamente, la considerano un’arte. Resto convinto che, se una cosa è in grado di dare un senso al grigiore che spesso pervade le nostre periferie, non può essere una cosa cattiva.
Non ci si improvvisa di certo artisti in questa jungla fatta di simboli, di codici e si mille sfumature. Guardando ‘un pezzo’ sul muro ci si rende subito conto di quanto lavoro e di quanta capacità tecniche ci siano voluti per raggiungere un risultato così coinvolgente.
Troppa disinformazione e pregiudizi aleggiano sulle figure dei writers. In attesa che qualcuno di questi artisti metropolitani ci venga a raccontare tutti i retroscena di un’arte di così forte impatto e così controversa, lasciamo parlare le immagini dei loro lavori.
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