martedì 19 ottobre 2010

MASSAWA, DUNE SALATE D’AFRICA

Una piazza di Massawa
Massawa, la piazza del centro © Luisa de Bellis

A Massawa il sole batte così forte che nelle ore centrali della giornata è impossibile uscire di casa. È di primo mattino, e di notte, che la città regala le emozioni migliori. Nel dedalo di viuzze del centro gli edifici bombardati e quelli antichi e quelli semplicemente lasciati andare si confondono e danno vita a un posto surreale e a tratti spettrale: il set cinematografico perfetto per un film noir ambientato nel corno d’Africa.
Il vento corre veloce in quegli angoli di vita passata e fra la polvere e le macerie ogni tanto sbuca un bambino ad attraversare il vicolo di corsa, e così come è arrivato scompare, senza lasciare traccia.
L’unico movimento visibile durante il giorno è quello del porto, non più attivo come un tempo, ma comunque importante per il Paese. Da lì arrivano zucchero, petrolio e altri beni di prima necessità. Caricati su vecchi camion massicci della Fiat, risaliranno verso l’altopiano su una strada piena di buche e di curve, attraversando coraggiosamente prima il deserto e poi le montagne.
Al tramonto una luce tenue e brillante si posa su tutte le cose e le riporta in vita. Relitti di navi, comprati e smistati in mare, scintillano come fossero oro e riportano con la mente all’epoca dei grandi commerci e del movimento portuale.
Le montagne di sale, immobili, si stagliano verso il cielo, silenziose, e scintillano della sua luce. Gli edifici, sventrati dalle bombe, assumono contorni più definiti e si lasciano finalmente ammirare. Ed è facile perdersi in castelli di epoche remote, di principi, spezie e profezie.
Quando il buio cala, il faro si accende e così la vita a Massawa. I bambini spuntano da ogni dove e corrono qua e là, rinnovati da un’energia a cui il calore del giorno non lasciava spazio. Donne ricoperte di veli si acquattano agli angoli degli edifici, davanti a loro un piccolo banchetto con sigarette, uova e spezie. Passeranno lì tutta la sera, alcune tutta la notte, a guardare la vita che corre per strada e a vendere le loro quattro mercanzie.
I gatti escono dai loro nascondigli e vanno a zonzo, con l’andamento lento di chi si è appena svegliato. I loro occhi attenti si muovono nel buio come fari e lanciano presagi dall’ aldilà. Viene da pensare che siano loro i veri custodi del segreto di Massawa e del suo richiamo (Mitsi’wa, in lingua tigrigna).
Dagli angoli bui delle strade giunge una musica conosciuta. La seguiamo, come un richiamo nella foresta. Ma ecco che presto ne udiamo un’altra e allora cambiamo ancora direzione, muovendoci alla cieca nel dedalo di viuzze.
Ogni bar suona la sua, e sono tanti i bar a Massawa, nonostante la abitino in pochi. Finché una luce, alla fine, non ci inviterà ad entrare. L’offerta sarà sempre la stessa: birra Asmara, arachi e gin, e quando si è fortunati del cognac. L’ambiente sarà sempre semplice e ridotto, quattro tavolini e qualche gatto a zonzo, e le facce sempre belle.
Il tempo si dilata, le parole scorrono lentamente, e la vita sembra tutta lì, semplice e lineare, senza trambusto. Fino a che l’aria calda si mette a girare intorno alla testa, e inizio a sbadigliare, in preda a una pesante sonnolenza. Da un momento all’altro, avrò voglia di chiudere gli occhi e abbandonarmi al mondo dei sogni. Assopita su una branda fuori dalla porta di casa, mi lascio accarezzare dal vento, e cullata dal rumore del mare, mi assopisco, per risvegliarmi in mondi lontani.

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Il porto di Massawa © Luisa de Bellis

Le saline
Massawa, le saline, ai margini della città © Luisa de Bellis

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Massawa, la via d'ingresso della città © Luisa de Bellis

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L'ingresso del porto di Massawa © Luisa de Bellis

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Massawa, la ex Banca d'Italia, sventrata dalle bombe © Luisa de Belli

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Massawa, una casa nel centro © Luisa de Bellis

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Massawa, reminescenze turche © Luisa de Bellis

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