lunedì 3 gennaio 2011

FAUSTO ZONARO, DA NAPOLI ALL’ORIENTE.

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 Fausto Zonaro nasce a Masi il 18 settembre 1854, già culla di due personaggi di respiro internazionale e oggi quasi del tutto dimenticati: l’Abate Francesco Boaretti, erudito e filosofo settecentesco, e Giuseppe Dall’Aglio, che sempre nel Settecento fu ceramista a Vienna, alla Corte dell’Imperatrice Maria Teresa d’Austria. Il ragazzo, sin dalla più tenera età, manifesta una netta propensione per il disegno, e a 12 anni, col consenso paterno, frequenta l’Istituto Tecnico di Lendinara. Da Lendinara passa a studiare a Verona, presso la celebre Accademia Cignaroli, diretta allora da Napoleone Nani.
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L’iscrizione alla scuola è permessa allo Zonaro dalla generosità di una nobildonna padovana, Stefania Omboni. Segue il trasferimento a Venezia, dove apre una piccola scuola di pittura nei locali di Palazzo Pesaro, sul Canal Grande, e dove dipinge sia piccole tavolette di paesaggio destinate ai turisti in soggiorno in Laguna e tele di più ampio respiro.Tra gli altri allievi frequenta la scuola di Palazzo Pesaro una giovane donna, figlia di un ingegnere di Belluno, Elisabetta Pante, che in seguito diverrà sua compagna, nella vita e nell’arte. Zonaro frequenta Napoli già da alcuni anni, ed è amico dei grandi pittori napoletani, primo tra tutti Attilio Pratella. La città partenopea, ricca di colori, di suoni, di popolo festoso e chiassoso lo attira potentemente. A Napoli realizzerà sia tele di grandi dimensioni tutte improntate alla vita quotidiana e alcuni paesaggi del Vesuvio.

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Il capolavoro di questo periodo è senza dubbio “Il banditore”, datato 1886, dove il pittore rappresenta una delle figure più caratteristiche del folklore napoletano,il “Pazzeriello”. Ma non bisogna pensare che la vita di Zonaro sia stata, in questi anni, felice e spensierata. La concorrenza degli altri pittori, proprio perché di grande qualità, è spietata, il mercato delle sue opere è fortemente instabile e non riesce a trovare una piazza dove dominare. Tra il 1885 e il 1888 vaga tra Venezia e Napoli, senza un programma ben preciso, senza una meta definitiva. Il 1888 è l’ultimo anno fondamentale per la propria educazione artistica. Egli infatti è a Parigi, la capitale mondiale dell’Impressionismo, ed è a contatto con tutti quei grandi maestri. Ed infatti lo stile del pittore, originalissimo ed inconfondibile, prodotto di più scuole e movimenti artistici fusi insieme, l’Impressionismo francese, il colorismo veneto e il realismo napoletano, non subirà più alcun mutamento. Egli sarà sempre fedele a sé stesso, sino al suo ultimo giorno. Il suo stile, come è stato giustamente rilevato in recentissimi studi, tende sia all’Impressionismo, un Impressionismo piuttosto di superficie, che gli permette di condurre velocemente a termine i bozzetti e le tavolette, tutti studi rigorosamente condotti all’aperto, a contatto diretto con la realtà, sia ad uno stile più italiano, tipicamente ottocentesco, che sconfina quasi nella maniera, particolareggiato e pieno di colori.

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Ed è con questo bagaglio di conoscenze tutto occidentale che Zonaro tenterà la sorte nel favoloso e misterioso Oriente, nell’anno 1891. A seguito della lettura di “Costantinopoli” di Edmondo De Amicis, un vero e proprio best seller di quegli anni, Fausto ed Elisa decidono di soggiornarvi per qualche tempo, alla ricerca di nuove ispirazioni e nuovi territori da esplorare. E sarà Elisa a partire per prima, da sola, assolutamente incurante di ogni pericolo che poteva correre una donna non accompagnata in una città così grande e totalmente sconosciuta, armata soltanto del proprio Diploma di Maestra elementare e di solida intraprendenza. Giunta a destinazione, tramite la Reale Ambasciata d’Italia, inizia da subito a tessere una fitta rete di rapporti e di conoscenze che risulterà poi fondamentale per il pittore.  Ricevuto il via da Elisa, Fausto Zonaro parte immediatamente da Venezia per Costantinopoli. Neanche sul battello che lo porta in Oriente smetterà di dipingere, lo testimoniano potenti e vivaci tavolette con paesaggi di Ancona, Bari, Corfù, Patrasso, Atene.

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Lo sconvolgimento estetico alla vista di Costantinopoli è totale. Zonaro per qualche tempo interrompe l’attività per dedicarsi allo studio di quel nuovo ambiente così diverso eppur così affascinante. La luce, l’atmosfera, la natura sono completamente diversi dall’ambiente italiano e il pittore dovrà impegnarsi non poco per cercare di riprodurre esattamente ciò che vede e ciò che prova. E questa prima produzione, piccole tavolette con scene di vita quotidiana turca, sono indirizzate ancora una volta a turisti e commercianti che letteralmente pullulano a Costantinopoli. Ma la fortuna questa volta gli sorride: dal 1891 al 1896, anno in cui Zonaro viene nominato Pittore di Corte, è tutto un crescendo di fama e di commissioni, e ciò si deve sostanzialmente a un fattore, creato e sostenuto interamente da Elisa, che nel frattempo è divenuta sua moglie alla quale si deve, senza dubbio alcuno, imputare gran parte del successo di Zonaro presso l’aristocrazia occidentale e orientale. Donna moderna, intelligente, colta, con un ingegnoso lampo di genio comprende che i rapporti personali e le amicizie da lei tanto faticosamente guadagnate non bastano più, il marito ha bisogno di altro, e sostanzialmente di pubblicità. E la pubblicità, per un pittore dell’epoca, consisteva nel vedere i propri quadri pubblicati nei più accreditati giornali d’arte d’Europa.
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Gli atelier fotografici a Costantinopoli sono pochi, costosi e assai inadeguati per le esigenze della coppia e così, ancora una volta, Elisa parte, questa volta accompagnata dal primogenito Fausto I nato nel 1892, alla volta di Parigi, decisa ad intraprendere la difficile arte della fotografia. E molto probabilmente sarà la prima donna europea diplomata in fotografia. Una volta ritornata a Costantinopoli, armata di macchine fotografiche, acidi, pellicole, vasche per lo sviluppo, passa in rassegna buona parte della produzione del marito e spedisce le fotografie ai maggiori giornali d’arte del mondo. I giornali sono entusiasti, si moltiplicano articoli e recensioni con fotografie; uno di essi, l’Illustrirte Zeitung di Lipsia, arriva a pubblicare la fotografia del “Banditore” in copertina.

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Il giornale è letto nei salotti di tutte le Ambasciate europee di Costantinopoli, cresce l’interesse e tutti gli Ambasciatori, uno ad uno, correranno a conoscere Zonaro. Fioccano così commissioni, ritratti, paesaggi, proposte più disparate. L’Ambasciatore di Russia, Alexander Nelidov, metterà addirittura a disposizione un salone nell’Ambasciata di Russia ove Zonaro aprirà una scuola di pittura frequentata da buona parte dell’aristocrazia occidentale presente a Costantinopoli e da qualche esponente delle corte del Sultano.

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E sarà lo stesso Nelidov, in accordo con l’Ambasciatore italiano Panza, a presentare al Sultano l’ultimo lavoro di Zonaro, il Reggimento Imperiale di Ertogrul sul Ponte di Galata. Il quadro, come tutte le grandi composizioni di Zonaro (poche per la verità) è il risultato di numerosi studi preparatori compiuti rigorosamente dal vero e assemblati poi in una composizione più ampia e ricca di particolari. Gli Ambasciatori sapevano che il Sultano, lui stesso favoloso mecenate, pittore per diletto, avrebbe gradito il quadro, avendo tra l’altro lui stesso creato quel corpo di cavalleria; inoltre il Pittore di Corte precedente era morto da pochi mesi ed il posto era vacante. Abdulhamid II non solo acquista immediatamente l’opera, ma nomina Zonaro Pittore di Corte concedendogli anche uno stipendio assai più alto di molti dei funzionari di Palazzo.

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Questo sovrano fu sempre assai benevolo col suo Pittore, lo guardò con simpatia e con stima, a giudicare dalle commissioni a lui affidate: il ritratto dei figli prediletti, studi dal vero nel Parco della Reggia, commissioni di quadri quali una serie celebrativa dell’entrata di Maometto II a Costantinopoli avvenuta il 29 maggio 1453, atto di nascita dunque dell’Impero Ottomano, la copia del celebre ritratto di Maometto II di Gentile Bellini che in quell’epoca era passato a Londra. Seguirono regalie in denaro, titoli quali Colonnello dell’Esercito e in seguito Pascià, doni quali un palazzo di tre piani nel quartiere di Besiktas, a seguito della realizzazione di un quadro celebrante la vittoria dei Turchi sui Greci avvenuta nel 1897, e poi ancora commissioni straordinarie quali la sistemazione degli appartamenti destinati all’Imperatore di Germania Guglielmo e dell’Imperatrice in visita ufficiale a Costantinopoli nello stesso 1897, più la realizzazione di alcuni quadri celebrativi dell’incontro. Ed è proprio in questa occasione, mentre riordina e sistema la quadreria nelle stanze destinate agli Imperiali, che Zonaro incontrerà per la prima volta il Sultano Abdulhamid.


Queste le sue parole: Un signore dalla barba rossiccia, in giacchetta e fez, facendo giocherellare un bastoncino che teneva nelle mani, mi fissa accennando un leggero inchino, ed io guardo questa silhouette, l’occhio si spinge oltre i contorni di essa ed intravedo i bianchissimi denti del negro Nadirà, il prediletto eunuco del Sultano. Mi ritrovo! Sono in presenza di Abdulhamid! Un inchino profondo, un saluto, mi raddrizzo (…) Le mani erano conserte sì, ma guardavo in faccia ben diritto il mio Signore. Un Mussulmano non avrebbe mai osato ciò (…)  Vi sono dei buoni quadri nella mia Galleria?” ed io a tutto ciò rispondevo “Evet Effendi Mis” (Sì mio Signore) Poi s’avanza dal vano dell porta e, accennandomi un quadro, mi dice di levarlo di là e porlo al posto di quello piccolo che stava nello spazio al disopra della porta del teatro. Guardo e con l’occhio constato che per l’altezza non vi poteva stare. Stavo per esprimere l’inconveniente quando S. M., facendomi cenno col suo bastoncino a guisa di sega: “Copsi bir as!” (Taglia un poco) egli mi dice guardandomi sorridendo, ed io subito “Evet Effendi Mis!”. Poi un giro su se stesso e s’allontana. L’ultima visione è il fiocchetto saltellante del fez di Abdulhamid ed i denti bianchi del mingherlino negro che mi sbircia tirando la porta. Mezz’ora dopo il quadro rappresentante un cavaliere del Quarto Reggimento, che per fortuna avea molto terreno e molto cielo era al suo posto; la firma dell’autore era scomparsa, ma che importa? Lega l’asino dove vuole il padrone…”

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Preso possesso del Palazzo donato dal Sultano, Zonaro vi allestisce un’esposizione permanente delle proprie opere, destinando soltanto il terzo piano ad abitazione privata. Agli inizi del Novecento dunque Zonaro è al vertice della sua parabola artistica e vitale. Nel 1903 nascono le due figlie Jolanda e Mafalda, e la casa è meta di personaggi turchi e stranieri di fama internazionale, ricordiamo almeno la visita del Principe di Napoli Vittorio Emanuele di Savoia e della consorte Elena nel 1903, in viaggio di nozze in incognito a Costantinopoli, che Zonaro poi ritrae da fotografie donando i quadri alla Reale Ambasciata d’Italia, del Colonnello Inglese in istanza a Costantinopoli Winston Churchill, del Principe Abdulmecid, nipote del Sultano, intellettuale di primo rango della Famiglia Imperiale, pittore di qualità, di Enver Bey, capo dell’esercito che nel 1909 rovescerà il regime di Abdulhamid, di una schiera di ambasciatori, nobili, giornalisti, scrittori di mezzo mondo.

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Elisa, dal canto suo, continua a fotografare i quadri, costituendo così un preziosissimo archivio di centinaia di fotografie, fotografa e impartisce lezioni di pittura alle potentissime donne dell’Harem, ove lei ormai ha regolare accesso. La casa dei coniugi Zonaro diviene dunque, per circa 10 anni, un solido punto di scambio culturale tra Oriente e Occidente, un luogo di incontro di mentalità, usanze, religioni diverse. E così gli anni dal 1898 al 1909, anno del ritorno in Italia, sono anni febbrili e di duro lavoro. Zonaro infatti non rinuncerà mai a dipingere per proprio conto, all’aperto, perso nei vicoli e nelle stradine anguste di Costantinopoli, a bordo di battelli ancorati nel porto, all’alba, al tramonto, di notte. Realizzerà centinaia e centinaia di opere, tele, pastelli, acquerelli, tavolette, ritratti, col proprio stile che avrà sempre molto successo sia presso la committenza Orientale che quella Occidentale.

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Egli non cederà mai all’Orientalismo più oleografico e più banale che invade l’Europa dell’Ottocento, tutta la vita orientale viene indagata con sommo interesse: pescatori, venditori ambulanti, architetture, il Bosforo, le barche, la folla sul Ponte, i cimiteri, le strade, le feste religiose, ma sempre col proprio stile mai nulla concede all’accademismo e al cartolinesco. E il tramonto di Zonaro in Oriente coincide con il crollo del regno di Abdulhamid. Tornato in Italia si stabilisce, dopo lunga ricerca, a San Remo, e la scelta è abbastanza comprensibile. San Remo è un’autentica Costantinopoli in miniatura: città di mare, ricca e cosmopolita, capitale incontrastata della Belle Epoque italiana. San Remo è meta prediletta della nobiltà europea (soprattutto inglesi e russi) che vi soggiorna per lunghi mesi, sia per svago che per cura, e a San Remo, a villa Magnolia, morirà in esilio, nel 1926, l’ultimo Signore dell’Impero Ottomano, crollato ormai da tre anni, il Sultano Maometto VI, fratello di Abdulhamid. E il 19 luglio 1929 morirà anche Fausto Zonaro. Terminano qui le vicende dell’ultimo pittore dell’Impero e della sua straordinaria compagna Elisa, storie di vita uniche e rare, per un appassionato come Zonaro, del magico Oriente.

Fonte

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http://www.faustozonaro.it/

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