martedì 17 maggio 2011

A COLLOQUIO CON JARRET DE PORC

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Jarret de Porc nasce in un giorno di fine estate ’72, coniugato, vive  in un ameno luogo nel mezzo del cammin da Milano a Lugano.
Fotografo autodidatta (anzi, utilizzatore di qualche macchina fotografica, come preferisce esser definito), scatta quasi esclusivamente in bianco e nero.
Adora una miriade di grandi fotografi e sperpera intere fortune in libri, tant’è che ha esaurito lo spazio in libreria (con somma gioia della consorte).
Nel tempo libero tenta di mettere a frutto la laurea in economia e commercio, dandole in pasto montagne di grigissimi numeri.

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La fotografia per te è?
Una passione, forse la principale. Ma anche una sorta di droga, dato che indubbiamente crea dipendenza. Difficile che mi muova senza la mia macchinetta e, se rimango troppo tempo senza scattare, è come se mi mancasse qualcosa.
La tua prima memoria fotografica?
Alcune foto che mi ritraggono neonato, o quasi, che credo di aver visto per la prima volta ai tempi in cui giravo in triciclo per il cortile di casa.

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Come ti sei avvicinato alla fotografia?
Ereditata da mio padre. Anche se mi sono avvicinato “sul serio” solo nei primi anni ’90. Poi gli anni bui del nuovo secolo, in cui mi sono temporaneamente allontanato per cause di varia natura, prima fra tutte il lavoro. Ma dal 2008 la fotografia è tornata prepotentemente tra i miei interessi. Per fortuna, aggiungerei.
La tua prima macchina fotografica?
La primissima è stata una Polaroid e, se la memoria non mi inganna, si trattava di una Landcamera 1000.  Ti parlo degli albori degli anni ’80, quando ero poco più che un bimbetto. Una volta cresciuto, ho iniziato a studiare (parola grossa) ed utilizzare una vecchia Canon FTql, un autentico reperto archeologico del ’69 o giù di lì.
L’ultima?
Una più o meno moderna reflex digitale. Ma il mezzo conta molto relativamente.

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Che rapporto hai con il digitale?
Ottimo, dal momento che oggi scatto esclusivamente in digitale. Tuttavia, essendo un nostalgico, spesso elaboro le foto in modo da ricordare la pellicola.
Da fotografare: meglio un corpo femminile o maschile?
Indubbiamente femminile, molto più armonico ed aggraziato.

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Se esistesse il nobel per la fotografia tu a chi lo daresti?
Proporrei un ex aequo, postumo ahimè, a due grandi: Jeanloup Sieff e Robert Doisneau. Adoro i fotografi francesi.
Un fotografo italiano che stimi particolarmente?
Mario Giacomelli, un altro grandissimo del passato.
La soddisfazione più grande da fotografo?
Riuscire a creare una storia in una frazione di secondo. O, almeno, provarci.
Delusione invece?
Spesso ciò che si ottiene non rispecchia appieno l’idea iniziale.

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I peggiori 50 euro della tua vita?
Spesi in un ristorante di Parigi per una cena tutt’altro che memorabile. E, purtroppo, erano parecchi di più di 50.
Se la tua vita fosse un film, quale ti piacerebbe che fosse?
Ah guarda, meglio soprassedere: sarebbe un film noiosissimo, tipo quelli proiettati nei cineforum di fantozziana memoria!
Un viaggio, dove?
Non importa. Ciò che conta è viaggiare. Il problema è che non sempre è compatibile col portafoglio.

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Un film, un libro e una canzone.
Il buono, il brutto, il cattivo. 1984. Gimme shelter o Simpathy for the Devil dei Rolling Stones. O Telegraph road dei Dire Straits. O Comfortably numb dei Pink Floyd. Meglio smettere visto che l’argomento canzoni introduce troppe variabili.
Una cosa che vorresti dire, ma che non ti è stata chiesta?
Il perché della predilezione per il bianco e nero. Personalmente lo identifico con la fotografia stessa. Molto spesso il colore distrae e non aggiunge nessuna informazione utile. Ciò non significa che mi precluda in assoluto una qualche concessione al colore.
Poi ci sarebbe anche il perché del “nome d’arte” che mi sono scelto: lo trovo simpatico e poi suona bene. O no?

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Il suo portfolio personale www.behance.net/jarretdeporc

Fonte

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