Una monografica imperdibile che raccoglie trent'anni di fotografie scattate ad Haiti, Caraibi, Messico, Etiopia, Costa Rica, Brasile ma anche in Russia e New England.
Webb è uno dei miei fotografi preferiti, la magia delle sue fotografie è che ognuna di esse sembra in realtà un patchwork, una composizione di più immagini per la complessità che raggiunge.
Alex Webb non è un fotografo che rientra facilmente in un genere, non è un fotogiornalista tradizionale, la sua è sì fotografia documentaria ma il suo punto di vista è talmente forte che forse la definizione di fotografia artistica è la più pertinente.
Le sue fotografie si possono guardare per ore, all'interno di un'inquadratura di Webb succedono talmente tante cose che è difficile staccare lo sguardo o muoversi da una parte all'altra del frame.
Mi vengono in mente Garry Winogrand, Charles Harbutt e il mio fotografo preferito di tutti i tempi, Lee Friedlander, anche loro riuscivano ad affollare le loro fotografie fino all'attimo perfetto prima del caos totale in modo che noi guardandole restiamo rapiti e disorientati.
Winogrand, Harbutt e Friedlander scattavano però in bianco e nero mentre Webb aggiunge alla loro complessità un ulteriore livello: il colore.
Nel 1975 ad appena 23 anni, Webb sente di essere arrivato a un punto morto con la fotografia. Lavorava
in bianco e nero; ma sentiva che le sue immagini non lo stavano portando a niente di nuovo. Gli capita per le mani il romanzo di Graham Greene, I commedianti, ambientato nel mondo turbolento dell’Haiti di Papa Doc e subito dopo parte per Port-au-Prince.
Webb parla di questo viaggio come di un momento di profonda trasformazione per lui, come fotografo e come essere umano per l'intensità emotiva di Haiti esasperata dalla violenza della luce: "la luce infuocata e la potenza del colore sembravano in qualche modo impressi nelle culture con cui stavo lavorando: era un altro pianeta rispetto alla riservatezza grigio-marrone del New England, nella quale ero cresciuto".
Webb si dichiara affascinato dalle aree di confine, le isole, i margini della società, i "luoghi caratterizzati da
indefinitezza culturale e (spesso) politica, "dove le culture si incontrano, a volte scontrandosi, a volte fondendosi"
Il tema del "confine", del bordo, dell'indefinitezza, è una costante delle sue fotografie, dove spesso compaiono degli elementi che funzionano da linee divisorie di mondi paralleli che coabitano la stessa immagine per cui ogni fotografia racconta tante piccole storie.
La maggior parte delle fotografie che siamo abituati a vedere ha un elemento a fuoco su un piano specifico che ne costituisce il fulcro, la potenza invece delle fotografie di Webb è la coesistenza di diversi fulcri su diversi piani focali per tutta la profondità di campo, per cui nelle sue immagini accade qualcosa in primo piano ma anche a metà e sullo sfondo.
Milano, Piazza Tito Lucrezio Caro, 1
www.formafoto.it
Alex Webb: La sofferenza della luce
Fino al 17 giugno 2012
Tutti i giorni dalle 10 alle 20
Giovedì e Venerdì fino alle 22. Chiuso il Lunedì
Per informazioni: 02 58118067
Alessia Glaviano
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