giovedì 7 giugno 2012

“DAI DIAMANTI NON NASCE NIENTE, DAL LETAME NASCONO I FIOR”

LE “GRAZIOSE” di LISETTA CARMI

Lisetta Carmi, è stata un’outsider nel panorama fotografico cittadino e nazionale, testimone dell’ambiente intellettuale genovese, soprattutto giovanile, negli anni Sessanta.
Classe 1924, genovese, Lisetta Carmi è un’atipica quanto importante presenza nella fotografia contemporanea ancora da analizzare appieno.

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Il suo lavoro è immenso e di grandissimo interesse non solo per la scelta dei soggetti e delle tematiche da lei approfondite ma per il modo con il quale lo ha fatto: lucidamente, con un rigore netto, pulito della visione unito a una partecipazione sociale che capiamo, parlando con lei, appartenerle completamente come persona.

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La guerra e le persecuzioni contro gli ebrei dividono la famiglia: i fratelli, più esposti, riparano in Svizzera mentre lei resta in Italia anche per proseguire i suoi studi musicali. E’ però costretta a lasciare la scuola, a soli 14 anni.
Quando la situazione diventa davvero insostenibile, anche per lei non resta che la fuga: “decisi, però, di restare affiancando la Resistenza; la mia famiglia ne fu sgomenta capendo quanto fosse pericolosa la mia scelta che minava anche il ricongiungimento familiare… Rinuncia per loro; avevo circa diciotto anni…”. Si rifarà anni dopo, scegliendo la partecipazione ideologica e civile in prima persona. La famiglia, nel dopoguerra, si ricompone; Lisetta intraprendere una felice carriera da concertista, ancora “con una strana sensazione di qualcosa di importante oltre la musica…”. Questo “qualcosa” emerge prepotentemente dopo il 1960: durante i feroci scontri di piazza per la virata a destra del governo Tambroni. “Fu più forte di tutto, anche dell’amore per la musica e della stima per il mio grande maestro, Alfredo They, ma scesi tra i portuali che contestavano…”.

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La passione per la fotografia si definisce dopo un viaggio in Puglia con l’amico etnomusicologo Leo Levi “che stava andando a studiare i meravigliosi canti di una comunità ebraica che risiedeva in quell’area geografica; pensai che sarebbe stato bello e interessante documentare questa esperienza…”. Lo fa con un’Agfa Silet e le foto sono straordinarie tanto da convincerla a tralasciare la musica per seguire questa nuova, appassionante strada.


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Prima collabora come fotografa di scena per il teatro Duse di Genova imparando bene “a dosare la luce, le ombre…”, poi fa reportage, “ma da indipendente, pur pubblicando per alcuni quotidiani”. Sono, questi, i suoi anni dei servizi sul lavoro dei portuali, sui travestiti (soggetto di un libro importantissimo), sulla borghesia genovese vista attraverso i monumenti sulle tombe nel cimitero di Staglieno: immagini che palesano una ricerca su quelle realtà e sulle problematiche che la Carmi indaga con uno sguardo partecipe e un’inclinazione naturale a contrastare ogni ipocrisia. “Donna, comunista, ebrea, sopravvissuta alla guerra e alla barbarie nazifascista…, capirai!”

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Con questo stesso spirito, e con il bianco e nero -“più essenziale e vero, senza distrazioni”, come afferma oggi- restituisce immagini di Parigi, Israele, Venezuela, Afghanistan, India, Pakistan, paesi dove viaggia a lungo.

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Nel 1972 riesce a pubblicare –con una piccola casa editrice romana, la Essedì Editrice– il suo libro di fotografie sui travestiti che, racconta “fece uno scalpore per me incredibile: fu persino rifiutato dallo stesso editore e dai librai che non lo distribuirono… ma io non vedevo nulla di scandaloso, in quelle persone, e lo testimonia anche, nella prefazione, lo psicanalista Elvio Fachinelli”: servizio e libro divennero qualcosa di quasi clandestino, nonostante il loro prepotente valore conoscitivo. Sono immagini bellissime, potenti, che evidenziano schiettamente la realtà: spietata, specchio di quegli anni, nei carrugi genovesi, ma assolutamente attuale ancora oggi, in qualsiasi città. Lì “(…) si consumava il contesto quotidiano fatto di gesti riservati, di dialoghi intimi, di attese e di speranze, rivelano inaspettatamente una forte umanità che la Carmi ha saputo carpire così da far diventare unico il suo lavoro” scrive Iuliano Lucas nel testo della mostra che la Carmi ha avuto a Roma alla galleria One Piece Gallery (febbraio 2008).

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Lisetta mi canticchia, a questo punto, per sottolineare come la pensa, quel brano meraviglioso tratto da “Via del campo” di Fabrizio De Andrè, non a caso genovese anche lui, “dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior”.

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Alla mia domanda se, in quel periodo, era soddisfatta e felice della sua scelta e della sua vita Lisetta rivela la sua ansia di quegli anni: “ desideravo qualcosa di più profondo che trovai, finalmente, quando mi si rivelò Babaji Hairakhan Baba; quando lo incontrai, vidi finalmente chiaramente dentro me stessa e capii…” Era il 1976.

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Fu allora che Lisetta torna in Puglia, “terra che il Maestro sentiva sacra”, per creare un ashram per la meditazione e il karma yoga “utile alle persone per una trasformazione e purificazione delle loro menti”. E’ strano come quella bella regione abbia aperto a Lisetta la strada della fotografia e come l’abbia interrotta, indicandone un’altra “per me necessaria, fondamentale”: a Cisternino, città dove attualmente vive e lavora.

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Lisetta è una donna piena di energia, vigorosa e divertente, con un’intelligenza acuta e lo sguardo dolcissimo ma risoluto. E’ innamorata della vita nella sua interezza e ha saputo tenere insieme perfettamente le molte esperienze e passioni che l’hanno accompagnata, “formata”, come dice lei stessa: arti, impegno sociale, ricerca interiore. “Molto mi ha fatto capire il lavoro sugli esseri umani travestiti: il loro coraggio mi colpì profondamente. Sai, da ragazza ho desiderato a lungo di essere uomo, forse perché mia madre non era pienamente realizzata, a causa del suo ruolo, in quegli anni, nella società, e i maschi di casa invece erano appagati, liberi, e straordinari…; ho accettato anche dopo quell’esperienza la felicità di essere donna capendo di poterne rifiutare il ruolo femminile”, standardizzato, senza rinunciare “all’appartenenza di sesso”.

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L’incontro con Babaji ha equilibrato tutto. Forse questo “equilibrio” le ha permesso di scattare delle fotografie straordinarie all’irraggiungibile poeta Ezra Pound (pubblicate in: Carmi Lisetta, “L’ombra di un poeta. Incontro con Ezra Pound”, O Barra Edizioni, 2005): dodici scatti datati 1966.
Nuovamente, il suo interesse è per un’umanità “interrotta”, dolente, che ha il coraggio o la disgrazia di essere differente, anticonvenzionale, “fastidiosa per un sistema omologato”, ma, anche per questo, con una sua particolare, epica “bellezza”; e per quel lato della vita nascosto, negato come, appunto, la morte, il sesso, il dolore, la diversità, il parto (……)

clip_image013All images © Lisetta Carmi

Le sue foto contengono tutto questo e molto altro ancora, se le si sa guardare bene, fino in fondo, oltre la superficie della carta, dell’immagine… E se si ha la fortuna, come l’ho avuta io, di guardare oltre alle foto gli occhi dell’autrice, allora si può capire meglio il senso di un lavoro e di un’intera vita spesa per cercare, cercare, cercare… Non è questa la molla alla base di ogni creazione, di ogni avventura? Tratto da qui

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Dicono che la Morena, al secolo Mario Dorè, prima di entrare nel ghetto di Via del Campo, a Genova, avesse in mente di farsi suora. Un futuro da missionaria in Africa, i voti, la dedizione ai malati. Ma la vita, si sa, spesso prende altre strade. E presto la trasforma in "graziosa", travestito del quartiere nei carrugi dietro al porto di Genova. La conoscono tutti: di giorno prende un banco al mercato, di notte «sta sulla soglia» ad aspettare i clienti. La conosce anche Fabrizio De Andrè, che le dedica la prima strofa della sua "Via del Campo", la conosce Lisetta Carmi, fotografa genovese, che ne fa ritratti, riprendendo lei e le altre con il suo obiettivo.
«Quelle foto non le ho vendute mai. Le ho regalate, piuttosto, a tutte loro ma non ho mai guadagnato una lira». Lisetta Carmi oggi ha 84 anni e le sue foto scattate nel primo quartiere delle "graziose", i travestiti di Genova, dalla metà degli anni Sessanta ai primi anni Settanta, fanno ancora scalpore. 
«Li ho conosciuti a una festa di Capodanno a Genova nel 1965, loro vivevano nel ghetto degli ebrei, tra Via del Campo e piazza Fossatella. In 6 anni di vita insieme li ho sempre protetti, stimati, ho vissuto la loro sofferenza, l´emarginazione, le violenze, gli arresti. Ma grazie a loro, ho capito me e ho riscoperto la gioia di essere donna in un periodo in cui mi ribellavo al ruolo che la società ci aveva assegnato».
Lisetta è una ragazza di buona famiglia, la madre insegnante, il fratello pittore di fama (Eugenio) e negli anni Sessanta mollare tutto e trasferirsi nel quartiere "maudit" non deve essere stata impresa facile. Sei anni di lavoro intenso, dal 1965 al 1971. In cui ha immortalato volti e corpi di personaggi, in qualche caso, rimasti leggendari. C´è la Morena «una donna buona, curava i ragazzi più fragili, non mi ha dimenticata mai, solo 5 anni fa mi ha chiamato perché voleva rivedermi». C´è la Gitana, il capo del gruppo, sfrontato omosessuale. C´è Elena, bionda di sera e gruista all´Italsider di giorno e Pasquale, il gentiluomo napoletano che da donna veste di "straccetti" e da uomo indossa solo tight. In quegli anni un lavoro del genere incontrava solo dissensi, provocava scandalo. «Le foto le raccolsi in un libro, che un mio amico stampò in mille copie, rimaste sotto il banco dei librai per anni. Poi, al momento di andare al macero la mia amica Barbara Alberti le prese tutte, riempì casa sua delle mille copie e le distribuì in omaggio ovunque». Da allora, dopo più di dieci anni da quell´esperienza, le arride il successo e lei comincia a girare il mondo.
Contemporaneamente, realizza un lavoro fotografico su Ezra Pound e uno sui portuali di Genova. «Mi interessa lavorare per gli altri, tutta la vita ho cercato di dare voce a chi non ce l´ha, sono stata dalla parte dei più umili. Ho fatto servizi in America Latina, sono stata in Venezuela, Messico e Colombia e certe facce non le scorderò mai». Ebrea espulsa dalle scuole a 14 anni, Lisetta oltre alla passione per la fotografia ha coltivato anche un importante talento musicale. Come pianista suona in tutta Europa ma abbandona la carriera agli inizi del 1960. Il suo temperamento ribelle la induce a rinunciare anche alla fotografia: nel 1976 conosce un guru indiano con cui crea un centro spirituale a Cisternino, nella provincia pugliese, dove si trasferisce. Vive per 20 anni in un trullo, poi si sistema in una piccola casa nel centro del paese, che ancora oggi abita.
A lei, energica donna che vive infischiandosene dell´età, il merito di aver ritratto le prime Drag Queens italiane. Fonte

1 commento:

  1. ho conosciuto la Morena molti anni fa , un amica e una persona intelligente difficile trovare oggi persone con questa sensibilita'

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