domenica 14 luglio 2013

OUTPOST | SAMAR SINGH JODHA

NAPPA 90, ARSENALE, VENEZIA
55TH VENICE BIENNALE
à 24TH NOVEMBER 2013
TIME: 10.30-5.30 (TUESDAY-SUNDAY)

L'ultima ricerca dell'artista Samar Singh Jodha è una disquisizione visiva su una cultura globale in cui le nozioni estetiche individuali sono sempre più influenzate da interessi commerciali e rese così uniformi dai media che le espressioni spontanee dei singoli spesso emergono solo come prodotti casuali di percorsi non estetici.
Questo fenomeno è evidente nel suo nuovo lavoro, che mostra i contenitori di scarto che i minatori trasformano in abitazioni nel nordest del paese. La toccante ironia è che i lavoratori che estraggono i preziosi minerali dal ventre della terra contribuiscono a mantenere in funzione la macchina della cultura e dell'industria di massa.
L'intreccio di narrative rappresentata dai minatori spezzati e dalle loro espressioni forti, indomabili, mostra i fili di un “tecnopolio” globale che promette a pochi un futuro roseo grazie alla rapidissima innovazione ma che condanna molti a una regressione quasi medievale.
Utilizzando il linguaggio fotografico come pietra miliare del suo lavoro, Jodha evoca un discorso visivo che è radicato nella pratica documentaria ma che non la usa per mimetizzarsi. Come artista con una certa esperienza è più che consapevole del suo limitato potere nell'era post-moderna. C'è quindi un doppia spoliazione prospetticain gioco. La scheggia di ottimismo nell'opera è l'idea che la creazione artistica sia un dono troppo prezioso per essere ristretto solo ai virtuosi.

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Artist Samar Singh Jodha’s latest enterprise is a visual disquisition on a global culture where individual aesthetic notions are framed by commercial interests, and homogenised to such a degree by mass media that spontaneous individual expressions often emerge as accidental bi-products of non-aesthetic pursuits.
He highlights this unusual state of affairs via a pictorial trope of discarded containers fashioned into habitat by miners in India’s pristine northeast. The fact that Jodha foregrounds his work with a people given to excavating precious minerals from the earth’s womb to keep the engines of the same mass culture and industry running, adds poignant irony to his endeavour. The interplay of narratives represented by a broken people and their robust expression unravels the threads of a global technopoly that promises a rosy future to many of us via rapid innovation, while simultaneously condemning many others to centuries-old regression.
In deploying photographic imagery as the foundation stone of this work, Jodha summons a visual discourse that is rooted in documentary practice, yet is scarcely mimetic of that art form. As a seasoned artist, he is all too aware of its diminished power in the post-modern era. There is therefore a double dispossession at play here. The sliver of optimism in this work is a notion that art-making is too precious a gift to be restricted only to the virtuoso.

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