mercoledì 16 settembre 2009

ANGELO MANGIAROTTI

Matita Caran d’Ache con mina 6b fatta arrivare dal Giappone. Angelo Mangiarotti continua a disegnare, come sempre su carta da schizzo e fogli di ‘brutta’.


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Per vent’anni, ha aperto le porte del suo studio, nell’attuale sede di via Cesare da Sesto 15 a Milano, prima delle otto del mattino. Chiudendo verso le 18.30, dopo che tutti se ne erano andati. Qui, oggi , si lavora agli ultimi progetti e all’archivio. Schizzi, architetture a pastello e disegni esecutivi sono conservati dentro tubi di plastica, nei cassetti, sui tavoli. Le etichette parlano una lingua segreta. Sigle come ‘Me Giu’ (sistema U70 per Meroni, Giussano, 1969).


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Pochi i collaboratori capaci di decifrare queste sigle. L’obiettivo di Anna Mangiarotti, la figlia di Angelo, architetto e professore al Politecnico di Milano, è creare un archivio aperto, facilmente interpretabile, a disposizione del pubblico. Nel frattempo c’è da pensare a ‘Pluriposition’, l’ultima scultura del maestro. La realizzazione è una fase delicata. Per ‘Variazioni 25x25x5’ i marmisti usarono una lastra di 4.8 centimetri. Due millimetri in meno fanno la differenza.


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Per Angelo Mangiarotti questo è tempo di celebrazioni. Il libro del critico François Burkhardt, 380 pagine illustrate, è in uscita a ottobre per Motta Editore. Il 12 settembre inaugura invece una mostra antologica alla Casa del Mantegna, Mantova. A cura di Beppe Finessi, ‘Angelo Mangiarotti’ raccoglie 80 progetti, dai disegni a mano libera ai modelli di studio. Se gli chiedi di fare un bilancio, l’architetto pesa le parole: «Guardandomi indietro, in effetti, di lavoro ne ho fatto non poco. Provo un senso di conforto nel ritrovare attraverso schizzi, architetture, oggetti di design e sculture un percorso coerente e il più possibile corretto. Ho sempre creduto che la correttezza fosse il modo migliore per affrontare la progettazione e questo mestiere».


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Riguardo alla mostra: «Una mostra, senza dubbio, è sempre qualcosa di interessante, perché c’è il pubblico, che in un certo senso si confronta in contemporanea con opere frutto di un percorso temporale lungo. Mi auguro che in questa prossima occasione a Mantova possa sentirsi il senso della partecipazione». Degli altri si è sempre curato: «Nei miei progetti, ho sempre cercato che le esigenze delle persone partecipassero alla definizione dell’opera. Direi che il punto di partenza fondamentale, per progettare un oggetto di design, risiede nell’utilità che questo ha per la gente. Un oggetto che non nasce da una necessità non può essere neppure considerato come appartenente a questa categoria, il design».


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Poi veniva la materia: «Le mie opere sono sempre nate dall’interesse, la curiosità, che ho per la materia e i modi possibili di lavorarla; per poi trovare soluzioni spesso anche al limite, direi. Bisogna sempre porre molta attenzione alla scelta dei materiali con i quali sarà realizzato un oggetto, poiché si stabilisce un rapporto con la forma sempre molto delicato. L’innovazione tecnologica rappresenta uno degli aspetti fondamentali per il lavoro del designer, ma non deve portare all’esasperazione della tecnica a scapito di altri aspetti».


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Negli ultimi anni si è dedicato soprattutto alla scultura: «Il mio rapporto con la scultura si è sviluppato molto lentamente nel corso degli anni: ho cercato di dedicarmi a questa pratica con una buona dose di autocontrollo; a differenza del design, non c’è un rapporto così stretto tra la forma e la sua correttezza in termini di utilizzo. Mi dedico più alla scultura oggi rispetto al passato semplicemente perché la mia maturazione in questo senso ha richiesto un periodo molto lungo».


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Quanto alla vocazione: «Quando venne il momento di iscrivermi alle scuole superiori scelsi di studiare per diventare geometra. Mia madre, al contrario, voleva facessi il ragioniere per poter essere d’aiuto nel negozio di famiglia. Fu l’inizio del cammino che mi portò a diventare architetto. L’interesse per l’architettura e per il disegno mi condussero poi all’Accademia di Brera. Di ritorno in Italia dopo l’esperienza all’Illinois Institute of Technology di Chicago, ho provato a scostarmi un po’ dalla mia formazione. Ho tentato una strada abbastanza autonoma, direi; posso dire di aver cercato di fare del mio meglio».


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Il resto lo dicono i ritagli alle pareti. Una foto autografata di Walter Gropius, i ringraziamenti di Erich Mendelsohn, la corrispondenza asciutta con Le Corbusier. E un biglietto di auguri ricevuto nel ’91 per il settantesimo compleanno. C’è disegnato un vulcano. Il tratto è giapponese, lo erano molti collaboratori di studio. La dedica, con una ‘i’ di troppo, ispira tenerezza: ‘Lancieremo un fuoco artificiale vero fra trent’anni’.


Angelo Mangiarotti
Mostra antologica
Casa del Mantegna, Mantova
12 settembre - 8 novembre 2009
Info: 0376/360506
Link correlati:
http://www.studiomangiarotti.com/









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