venerdì 23 ottobre 2009

FEDERICO BAROCCI (1535-1612)

Siena, L’incanto del colore.

Federico Barocci (1535-1612). L’incanto del colore. Una lezione per due secoli” è la mostra che Siena, dal 11 ottobre, dedica al genio di uno dei maestri la cui fama in Italia, Spagna, Boemia, Baviera e nelle Fiandre fu pari, nel corso del Cinquecento, a quella di Raffaello e Michelangelo, di Tiziano e Correggio di cui Barocci sembra l'unico a coglierne l'eredità. In tal senso ci sembra che della spledida mostra di Parma del Correggio sia l'ideale proseguio.

34 le opere del maestro urbinate in esposizione, provenienti dai musei di Londra, Parigi, Vienna, Roma, Napoli, Firenze, Perugia, Urbino e da altri importanti centri come Senigallia e Assisi. Tra i capolavori che sarà possibile ammirare, spiccano alcune opere di esaltante bellezza restaurate per l’occasione, come la Deposizione del Duomo di Perugia e il Perdono di Assisi dalla chiesa di San Francesco a Urbino.


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La mostra, a cura di Claudio Pizzorusso e Alessandra Giannotti, è stata inaugurata a Siena l'11 ottobre presso il Complesso Museale Santa Maria della Scala di Siena e resterà aperta fino al 10 gennaio 2010 è anche "un continuo percorso di intersecazioni intorno alle opere di Barocci".

Sono passati più di trent'anni dall'ultima mostra monografica a lui dedicata a Bologna nel 1975. "Un’amorosa visione del mondo", così Andrea Emiliani definì la pittura di Federico Barocci, quando ne curò l’indimenticata mostra.

L’evento senese vuole essere un omaggio all’importanza che l’arte di Federico Barocci ha assunto nello sviluppo della civiltà artistica italiana ed europea dal Cinque al Settecento.


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Poche sono le aree dell’Italia pittorica che in questo periodo non hanno risentito del fascino del maestro urbinate con le opere inviate a Roma, Perugia, Loreto, Arezzo, Genova, Madrid, Praga, tramite la diffusione delle stampe di sua mano o di altri importanti incisori, e la circolazione collezionistica dei suoi disegni. Barocci raggiunse così una notorietà direttamente proporzionale all’isolamento esistenziale nel quale si era voluto rifugiare dopo il suo brusco e pressoché definitivo rientro in patria, a Urbino, "il selciato di casa sua", da Roma, sostenendo di essere stato avvelenato per gelosia, rimanendo poi menomato per tutta la vita da una condizione di salute delicata.


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Era decisamente un tipo particolare. Disse di no a tutte le più importanti corti europee che lo volevano al loro servizio e anche il Granduca di Toscana non riuscì mai a farlo venire a Firenze. Ma non si può certo dire che l'isolamento intoccò la sua fama, anzi direttamente proporzionale.

Al tempo di Barocci le sue opere erano una sorta di biglietti da visita che il suo mecenate, Francesco Maria della Rovere, usava per l'immagine del suo ducato a livello internazionale, in quel momento di dorato isolazionismo che poi a Barocci piaceva tanto. Il duca della Rovere si era formato in Spagna ed aveva referenti politici molto importanti lì, ed in questo senso Barocci era un suo strumento e un suo protetto, secondo i costumi del suo tempo. Il duca aveva parecchie richieste di sue opere da parte di teste coronate”, afferma Giannotti.

Siena, grazie alla Fondazione Monte dei Paschi, richiama a sè il maestro dei pittori senesi quali Francesco Vanni, Ventura Salimbeni, Alessandro Casolani, Rutilio Manetti. A cui la mostra dedica un ampia e meritata sezione.


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"Questi giovani artisti senesi si erano formati a Roma quando Barocci era il punto di riferimento - dice Claudio Pizzorusso - Magari alcuni di loro hanno saputo collegare lo strepitoso uso del colore alla sensibilità cromatica che connota la tradizione senese. Barocci è il primo artista che rinuncia alla composizione geometrica del quadro, riuscendo a inventare un coagulo cromatico. È il primo pittore pre-barocco, anche grazie alla sua riscoperta del Correggio".


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Il viaggio alla scoperta delle suggestioni della luce e del colore che caratterizzano le atmosfere del maestro urbinate si arricchisce dunque di altri importanti temi.

Una consistente parte della mostra è dedicata a quegli artisti che in varia misura e in vario modo, con fedele adesione o con maggiore autonomia, hanno trovato in Barocci una fonte di ispirazione: non solo artisti a lui contemporanei o di poco successivi, come Annibale, Ludovico e Agostino Carracci, Lodovico Cigoli, Bernardo Strozzi, Guido Reni, Pietro da Cortona, fino a Rubens e Van Dyck, ma anche coloro che, a maggior distanza di tempo e di cultura, ne hanno raccolto il messaggio, quasi “affidato a una bottiglia”, tra cui Giuseppe Maria Crespi, Rosalba Carriera, Jean-Antoine Watteau e Jean-Honoré Fragonard di cui ricorda Pizzorusso: "Quando Fragonard da Roma doveva spedire i suoi quadri all'Accademia di Francia, per giustificare la borsa di studio di cui godeva, gli accademici gli eccepirono 'Monsieur Fragonard, lei ha visto troppi Barocci!', riprova della fama che la sua pittura ancora godeva".


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Dieci le sezioni della mostra. Tre sono intitolate a «Barocci in barocco» La prima è dedicata a "Pittura d'aria e nubi", tema per eccellenza barocco. La seconda "Il moto all'azione", dove nello scatto si traduce il sentimento. La terza "Il fuoco" è trasfigurazione dell'estasi, davanti al quadro La Visitazione, le cronache narrano di un San Filippo Neri, a cui il Barocci era molto legato, cadere in svenimento estatico. Stupefacente è il "San Francesco riceve le stigmate".

"È lui il fondatore della moderna iconografia di San Francesco - sottolinea Pizzorusso - Inventa lui la figura delle stimmate in età moderna; umano e trascendente, questa è la sua forza".

Ebbe la capacità di toccare direttamente l’animo dei fedeli, suscitando in loro una commozione tale da divenire devozione, riuscendo a creare un legame tra lo spettatore e il protagonista del sacro evento, fondendo il paesaggio reale con quello immaginifico e simbolico, dando alla devozione una dimensione quotidiana e personale.

Presenza preziosa e unica a tema pagano, per lui pittore della Controriforma, Fuga di Elena di Troia in mostra il cartone del Louvre, l'opera originale purtroppo persa ma che in mostra vede anche una seconda versione della Galleria Borghese.

Molti anche i meravigliosi disegni. Barocci aveva quasi un'ossesione nel ritrarre bocche, sguardi , volti che ricercava per le contrade di Urbino. Il lavoro poi proseguiva in studio dove la precisione del dettaglio e la musica dei colori dovevano trovare le giuste assonanze, gli accordi perfetti. Tempo: più di quattro anni per trovare il risultato voluto. "E' stupefacente come invece il suo pennello sia un piumino, come le sue creazioni sembrino uscite di getto, cosa che incantò gli artisti del '700", conclude Pizzorusso.

Gianni E. A.Marussi

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