mercoledì 7 ottobre 2009

L’INFERNO DI DHARAVI

IL LIMBO di Mumbai è una strada larga, coperta di spazzatura e fogli di plastica e attraversata dalle solite mucche: collega la città all'aeroporto internazionale.

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A prima vista non sembra molto diversa dalle altre, ma la gente la percorre poco volentieri: "Porta a Dharavi, ma qui preferiscono dire che finisce all'inferno", dice con un sorriso l'amica indiana. A Ravi Mishra questa storia l'hanno raccontata qualche anno fa, quando era da poco arrivato in città. Curioso, decise di esplorare quel territorio proibito: da allora non l'ha più lasciato.

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Novello Virgilio, oggi vive guidando la gente alla scoperta della baraccopoli più grande di Mumbai e dell'intera Asia: Dharavi, o "l'inferno" come lo chiamano i suoi concittadini. "Chi parla così qui non c'è mai venuto - dice lui - Dharavi non è pericolosa, è solo molto grande, molto povera e molto affollata. Ma la maggior parte della gente che ci sta lavora duro per costruirsi una vita migliore".

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Mentre Ravi parla, fa strada fra vicoli sempre più stretti. Ci vuole un po' per mettere a fuoco il senso delle sue parole: anche per chi conosce l'India e le sue sacche di povertà, il primo impatto con Dharavi è scioccante. Il principale slum asiatico, il secondo al mondo, è un formicaio brulicante dove occorre fare attenzione a ogni passo. Nei 220 ettari dei suoi vicoli vivono fra le 700mila e il milione di persone, le fogne sono rivoli puzzolenti che scolano in un unico canale torbido. I bambini giocano fra montagne di spazzatura trasformate in campi di cricket: solo un miracolo sembra tenerli lontano, tiro dopo tiro, dalle centinaia di fili elettrici scoperti che vanno a rubare l'elettricità dai pali che la portano in città. Ma il segreto di Dharavi è altrove.

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Ci vuole un po' perché lo sguardo ricostruisca i pezzi del puzzle: quando gli occhi si abituano alle case di lamiera e i piedi prendono confidenza con il terreno polveroso si capisce quella dove il giovane Virgilio con il cappello da baseball ci sta guidando non è solo una baraccopoli, ma anche una città industriale.

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Camminarci per qualche ora è come scoprire decine di diversi distretti produttivi, ciascuno concentrato nella sua zona. Con un Pil annuo stimato in 650 milioni di dollari - pari al bilancio di una grande agenzia Onu come la Fao o alla quantità complessiva di aiuti stanziati globalmente per il rilancio dell'Afghanistan - lo slum è il centro di alcune delle più importanti industrie di Mumbai e dell'intera India.
La prima che si incontra è quella della terracotta.

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Ogni giorno fra i vicoli di Dharavi vengono prodotte migliaia di vasi e ciotole che poi prendono la strada della città.

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La famiglia di Kishore Bai, da 15 anni a Dharavi, da 12 lavoratore in proprio, è una delle 800 coinvolte nel business: con l'aiuto di moglie e genitori, il signor Bai produce ducento scodelle al giorno e mantiene otto persone.

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Nella strada accanto alla sua un rumore assordante denuncia la presenza di centinaia di macchine da cucire: realizzano ricami e impunture su camicie che presto finiranno nei negozi del centro o all'estero.

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Seguono la zona dei conciatori, annunciata dall'odore, e poi quella dei cardatori. Per arrivare al cuore dell'industria dello slum ci vuole ancora un po': si capisce che è vicina quando i colori perdono di intensità e una sottile patina di polvere comincia a ricoprire tutto. È l'effetto di decine di macchinari da fusione che lavorano tutti insieme per mandare avanti la vera specializzazione del distretto di Dharavi, l'industria del riciclo.
Nella baraccopoli le migliaia di tonnellate di rifiuti che Mumbai produce trovano nuova vita: le scaricano in continuazione, da camion stracolmi, raccolte in enormi balle.

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Una volta stoccate, vengono aperte una per una, divise a seconda del materiale e poi portate nelle apposite zone di lavorazione.

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Quella della plastica sta vicino al rigagnolo che fa da fogna a buona parte dello slum. Fra gli scarichi industriali e quelli umani, l'odore è insopportabile: ammirare buste, teli e oggetti di plastica cadere dentro al macchinario che li fonde e li fa rinascere in nuove forme è consentito solo per pochi minuti, poi la puzza si fa troppo forte.

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Il vicolo accanto è occupato dai lavoratori del metallo e dell'alluminio: protetti da mascherine che coprono a malapena naso e bocca, gruppi di uomini fanno di vecchie lattine viti nuove di zecca. Girando l'angolo il paesaggio cambia completamente: Shabi, panettiere, lavora in uno dei 25 forni di Dharavi. Quando tira fuori i suoi biscotti al sesamo il profumo si diffonde per tutta la strada. "Se i signori degli alberghi in centro sapessero che i migliori dolci della città arrivano da qui morirebbero", sussurra Ravi. Nella bottega del fornaio la temperatura è altissima: Shabi la sopporta senza problemi sei mesi l'anno. Poi, prima dell'arrivo del monsone, lascia il lavoro e torna al suo villaggio in Kerala, migliaia di chilometri più a sud. Ci resta sei mesi, quindi rientra al lavoro: "Lì vivo da ricco", spiega.

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Ricco lo è davvero invece Gulam Nabi: da 15 anni gestisce la fabbrica di sapone dello slum, l'unico luogo che davvero somiglia al girone dantesco evocato dai cittadini di Mumbai: dentro a enormi pentoloni neri il grasso si squaglia e si fonde per ore, prima di finire nelle piccole forme da cui escono i saponi. La camicia all'ultima moda e la grande catena d'oro al collo raccontano il benessere dell'uomo, che non ama le domande sui suoi guadagni e dice solo di avere dieci dipendenti.

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Gulam vive da sempre a Dharavi e anche ora che ha fatto fortuna non pensa a spostarsi: "Il mio business è qui, la mia vita è qui. I miei figli cresceranno qui: dove altro dovrei andare?", chiede. Dal suo punto di vista non ha tutti i torti: la ricchezza sua e di quelli come lui è legata a filo doppio a Dharavi: solo qui c'è un ricambio continuo di manodopera che accetta salari bassissimi anche per la media indiana, solo qui si può lavorare senza pagare tasse e affitto, solo qui per avere più elettricità basta allungare un altro cavo verso i pali della conduttura comunale che porta la luce in città.

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Ali Ahmed ascolta tutta la conversazione con rabbia malcelata: è qui da tre giorni e Gulam è il suo padrone. Nella scala di Dharavi sta negli ultimi gradini, quelli di chi è appena arrivato. Guadagna l'equivalente di due dollari al giorno e dorme nella baracca di suo fratello, sbarcato nello slum due anni fa: "Qui è l'inferno - dice - ma per ora non ho scelta, non posso andar via".
Crescent Heights e Buckley Court, le zone della nuova borghesia di Mumbai, distano qualche decina di chilometri ma da Dharavi sembrano distanti anni luce anche a quelli che potrebbero permettersi di vivere in quei quartieri. Il richiamo della baraccopoli è come quello delle sirene di Ulisse: chi cede una volta non torna più indietro. Amil, 19 anni, è studente di scienze in un college privato di Mumbai: di mattina studia, di sera torna nella sua casa di muratura blu da dove arrivano il suono dello stereo e le immagini della televisione.

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La famiglia è arrivata a Dharavi nel '54 e oggi suo padre è il leader di una delle gang che tengono sotto controllo lo slum. La sua attività ha regalato alla famiglia il benessere e al figlio l'arroganza, insieme alla possibilità di evadere per qualche ora dal puzzo di fogna. "Perché dovremmo andar via? - risponde Amil a chi lo interroga - qui siamo rispettati. E abbiamo una bella casa". Una rarità, nello squallore di Dharavi, dove la maggior parte delle abitazioni sono baracche di lamiera a volte a più piani.

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E un lusso a Mumbai, dove il mercato immobiliare è uno dei più cari al mondo. Gli analisti stimano che nei prossimi dieci anni varrà 102 miliardi di dollari, contro i 14 di oggi. Per questo le imprese di costruzione sono alla continua ricerca di spazi nuovi dove investire e quelli di Dharavi, economici e relativamente centrali, fanno gola a molti. Da qualche tempo, gli interessi dei costruttori si sono sposati con quelli del governo del Maharashtra, che punta a fare di Mumbai la Shangai indiana.

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Le autorità hanno dapprima lanciato un programma di riqualificazione che ha offerto agli abitanti degli slum incentivi per trasferirsi in nuove case, poi sono passate alle maniere forti: è del giugno 2007 l'annuncio fatto pubblicare dal governo su 16 quotidiani internazionali per la vendita, al prezzo di 2,6 miliardi di dollari di 214 ettari di terreno su cui sorge la bidonville. Lo scopo è quello di livellare il terreno, strategicamene posizionato fra la ferrovia e la zona degli affari, e di farne una nuova cittadella del business. Ma gli abitanti di Dharavi hanno fatto opposizione a un progetto che minaccia di lasciare senza tetto centinaia di migliaia di persone e bloccano chiunque si avvicini alle loro case.

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Dalla parte dei ribelli ci sono anche quelli come Sumah Kharatman che due anni fa ha accettato di lasciare con la famiglia una baracca nella zona vecchia di Dharavi per trasferirsi in un palazzo poco lontano. Da vent'anni lavora in un laboratorio che prepara fili di seta destinati alla tessitura, guadagnando 100 rupie (meno di quattro euro) al giorno: sperava di andare a stare meglio ma ora che paga 2000 rupie al mese per l'affitto e le spese, del fatto che la nuova casa sia più grande e più pulita della vecchia non le importa più molto: "Si mangia tutti i miei guadagni.

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Ho sbagliato ad andarci", dice. Ravi la guarda e fa segno che è ora di andare: è domenica, Dharavi non si concede riposo.

Portfolio di Sephi Bergerson


Portfolio_Dharavi_Slum - Images by Sephi Bergerson

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