venerdì 29 gennaio 2010

LA TRAGEDIA DEL POPOLO HAITIANO NELLE OPERE DI BASQUIAT

In questi giorni di immagini agghiaccianti che provengono dai martoriati Caraibi, dall'archivio della memoria balzano fuori evocazioni sorprendenti.
Haiti & Basquiat. Un binomio spesso dimenticato.image

Da una parte c'è il poeta maledetto, nero, figlio di un immigrato haitiano nella Grande Mela degli anni ottanta. Definito come «il James Dean della pop art», Basquiat fu amico di Warhol e amante di Madonna. Fu artefice di incredibili performance da quotazione finanziaria e si fece stroncare dall'eroina, con sole 28 primavere sulle spalle. Quelle spalle da boxeur - la boxe era, per Basquiat, uno stile di vita ed egli, sovente, comparava l'arte a un ring su cui combattere – con le quali affrontava i colpi della vita.

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Dall'altra, c'è l'inferno tropicale di Haiti. L'Hispaniola di Colombo. Da approdo messianico a landa spaventosa, il passo è breve. Di mezzo ci sono cinque secoli di un colonialismo in un luogo ove la stessa crosta terrestre pare lacerarsi, a causa del dolore.

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Con tale identità, localizzata su quest'isola sede di tutte le depressioni umane, Basquiat diventa cantore. E mette in scena grezze sequenze metropolitane dal sapore tribale. Un trionfo dell'arte negra nel quale oggi diviene difficile non scorgere echi lontani con le dolorose immagini rimbalzanti sui media riguardanti il terremoto a Port-au-Prince.

Basquiat, raccontando il dramma atavico (a matrice schiavista) della sua terra, pare capace di anticipare persino i drammi attuali. In foto c'è la tragedia di un popolo, che è tragedia dell'umanità tutta. Sulla tela tutto si sgretola in forme brutali. Gli esseri umani paiono scheletri. E nonostante, alla fine, il colore trionfi, c'è sempre la sensazione che sia successo qualcosa di troppo grave.

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E il segno grafico lo sottolinea. Ornano il tutto, infatti, scritte ossessive e – a tratti – incomprensibili. Messaggi che valsero, al malinconico Jean-Michel l'epiteto minimizzante di "graffitaro". Basquiat, a onor del vero, fu molto di più. Basti guardare come abbozza personaggi spiritati su scenari devastati: vibrante.

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«La persona è all'esatto centro tra ciò che è visibile e il mondo dello spirito» sono soliti dire gli sciamani, ad Haiti. Dove le bandiere utilizzate nei riti voodoo, divengono esse stesse opere d'arte. Tanto che finirono per ispirare lo stesso Basquiat, che però le rivisitò in chiave di destino ineluttabile di morte. Cioè nell'epica (per immagini) di come un haitiano nero, sensibile e visionario, vede se stesso, la sua storia (la storia del suo popolo), il suo destino (il destino dell'uomo). Prima, durante e dopo ogni catastrofe.

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Soggetti, quelli di Basquiat, che suscitano stupefatto orrore. Ma anche una sorta di magico silenzio nel quale si sprigiona aroma d'ebano e sangue.

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Le immagini vivide dei culti africani ancestrali, la povertà, la schiavitù, le dittature e gli influssi cattolici che costituiscono il DNA di questa società delle manipolazioni culturali restano sospese. Tra il reale e l'astratto di un tempo senza tempo.

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Si conceda, dunque di operare un raffronto iconologico/iconografico. E lo si legga come l'omaggio, postumo, di un figlio, alla propria terra.

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