Giulia Rossanigo, una delle autrici di Witness Journal, ci racconta in un breve reportage di viaggio le sue immagine e le sue impressioni sulla quotidianità del mondo femminile in altri paesi, le differenze e le analogie. La Tunisia, l'Egitto e il Rajasthan visti con gli occhi di una donna che incontra altre donne
Questo viaggio parte dall’Italia, da Roma e idealmente attraversa diversi continenti.
È un breve viaggio per parole e immagini di una carovana di donne dai vestiti diversi, dalle lingue diverse, donne che si guardano tra di loro con curiosità, con quell’aria critica che hanno sempre le donne verso le altre donne.
Donne che però, poco a poco imparano a riconoscersi al di là della pelle, dei vestiti e che alla fine del viaggio scopriranno di non essere così diverse le une dalle altre.
La prima tappa è in un hammam in Tunisia, per riposarsi e togliersi di dosso la polvere e la fatica del viaggio.
L’hammam tunisino è così diverso da quelli delle nostre città, eleganti e con musica lounge di sottofondo. Nell’hammam vero le donne vanno nelle ore a loro dedicate, per lavarsi e per lavare le loro figlie, con una cura e un’attenzione che spesso noi deleghiamo ad altri. Sono donne giovani e anziane, adolescenti e bambine, persino donne incinte. Chiacchierano, si scambiano idee, consigli, confidenze.
Nei fumi e nei vapori dell’hammam le voci si confondono e non importa non capire l’esatto senso delle parole, bastano il suono e il tono; sono confidenze su mariti e fidanzati, preoccupazioni per casa e figli, salute e genitori, pettegolezzi sui vicini di casa o su attori famosi, commenti sui politici.
Sono le stesse chiacchiere che possiamo fare noi dal parrucchiere, dall’estetista, in palestra.
Il viaggio prosegue in Egitto, nel caos rumoroso del Cairo, lungo le strade del centro e all’ombra delle moschee.
Le donne egiziane portano quasi tutte il velo, anche le ragazze giovani che sono quelle che colpiscono di più per la loro grazia e delicatezza. Sono vestite magari con jeans e magliette colorate ma hanno un accessorio in piu’, il velo, e lo portano con grazia ed eleganza, intonato agli abiti, alla borsa, alle scarpe.
Si vedono anche da pizza hut, studiano davanti a una fetta di pizza, ridono, magari parlano di qualche ragazzo o sparlano di quell’amica che si è comportata male.
Lungo le strade del Rajasthan solo una cosa è piu’ numerosa dei camion: le donne che camminano, donne elegantissime con i saree colorati che trasportano enormi fascine di legno, colorate come principesse che portano al pascolo le pecore o scavano per costruire una strada insieme agli uomini, donne che la mattina presto sono già in cammino, lungo strade deserte e polverose.
Vanno sole o con qualche amica, magari a fare la spesa in un villaggio vicino o hanno portato i figli a scuola o stanno andando a lavorare in un campo.
Come noi che la mattina in auto, motorino, mezzi pubblici, andiamo al lavoro, a fare la spesa e a lavorare negli uffici.
Noi magari in tailleur e tacchi, loro in saree colorati.
Ognuna di noi ha la sua divisa, evidentemente.
Non siamo tanto diverse, noi donne in cammino lungo le strade di questo pianeta.
Ognuna a modo suo, ognuna seguendo la propria tradizione, facciamo le stesse cose a qualsiasi latitudine.
Ci mettiamo in cammino per andare a lavorare, in un ufficio o sotto il sole nei campi.
Ci vestiamo a festa nelle occasioni importanti e ci teniamo che anche i nostri figli appaiano al meglio.
Facciamo il bucato, con la piu’ moderna delle lavatrici o lungo le rive di un fiume.
Siamo tutte donne in cammino, strette nei nostri scomodi vestiti disegnati da stilisti o al caldo sotto il velo che ci impone la religione, tutte convinte del nostro ruolo nel mondo, anche se il mondo talvolta non ce lo riconosce.
E tutte, in qualche modo indossiamo un velo, reale o figurato.
Dovremmo parlarci e conoscerci un po’ di piu’, per darci le une con le altre quello che ci manca.
Confrontandoci potremmo scoprire di avere tanto da imparare, tutte.
Forse noi donne occidentali potremmo insegnare un po’ di autonomia e in cambio potremmo riprenderci un po’ della nostra perduta femminilità, alla quale abbiamo rinunciato per poter giocare nel mondo degli uomini, come la sirenetta della fiaba rinunciò alla sua voce per avere delle gambe.
Guardandoci bene, al di là degli abiti e delle lingue, siamo davvero così diverse?
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