venerdì 2 settembre 2011

COME DECIDIAMO QUANTO (E SE) QUALCOSA È BELLO?

«Le domande che l’artista contemporaneo e il neuroscienziato si pongono sono fondamentalmente le stesse», dice Ludovica Lumer, ricercatrice di Neuroestetica al Department of anatomy and developmental biology dell’UCL. Lo studio della neuroestetica si occupa delle reazioni che abbiamo davanti alle opere d’arte, tenendo conto che «l’arte contemporanea è ormai una grande esperienza».

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Dirty Corner, un'installazione di Anish Kapoor

La ricerca scientifica e quella artistica a volte possono trovarsi ad affrontare problemi analoghi, e condividere percorsi comuni nella ricerca delle soluzioni. E’ un po’ questo il caso delle neuroscienze, spiega Ludovica Lumer, ricercatrice di Neuroestetica al Department of anatomy and developmental biology dell’UCL (University College di Londra), e cioè di quelle aree di ricerca che, coinvolgendo diverse discipline, dalla neurobiologia alle scienze cognitive, tentano di capire il funzionamento del sistema nervoso.
Negli ultimi anni, sostiene Lumer, è emersa con sempre maggiore evidenza l’analogia tra alcune questioni sollevate dall’arte contemporanea già all’inizio del secolo scorso, ad esempio con la celebre ‘Fontana’ (o ‘Orinatoio’) di Marcel Duchamp, e quelle prodotte dall’osservazione sperimentale del cervello, attraverso tecniche di brain imaging come la risonanza magnetica funzionale (fMRI), durante le sue interazioni con l’ambiente esterno, e con quello interno dell’individuo nell’elaborazione della propria identità. Per descrivere questo ‘incontro’ tra l’ambito delle sue ricerche e il lavoro di artisti contemporanei come l’americana Cindy Sherman, Lumer ha scritto, insieme a Semir Zeki, neurobiologo dell’UCL e pioniere nello studio della funzione visiva del cervello, il libro La bella e la bestia: arte e neuroscienze, uscito lo scorso maggio. Ne parla con Linkiesta, ripercorrendone le principali argomentazioni.

clip_image002Un’opera di Cindy Sherman, Unititled Film Still #14 (1978)

Che cosa hanno in comune le neuroscienze con le tendenze dell’arte contemporanea?
Le domande che l’artista contemporaneo e il neuroscienziato si pongono sono fondamentalmente le stesse. C’è stato nella storia dell’arte un radicale cambiamento di paradigma, almeno a partire da Marcel Duchamp, e dall’esposizione nel 1917 del suo ‘Orinatoio’ all’associazione degli artisti indipendenti di New York. Di fronte a quell’oggetto decontestualizzato, l’osservatore era ed è costretto a fare uno sforzo ‘creativo’ per attribuirgli un nuovo significato. Questo è un po’ il motivo che caratterizza l’arte contemporanea. A differenza delle opere tradizionali, come una madonna col bambino o un paesaggio, le installazioni degli artisti contemporanei coinvolgono attivamente lo spettatore nel processo creativo. Ora, con la scoperta recente dei neuroni specchio, si è avuto un analogo salto di paradigma nelle neuroscienze. Si è scoperto che il cervello di un individuo, osservando un altro compiere un’azione, si comporta come se la stesse compiendo lui. Insomma, improvvisamente il cervello non era più solo: se prima ne studiavamo soltanto gli aspetti solipsistici, legati alla visione, alle facoltà motorie e altre attività, dopo l’individuazione dei neuroni specchio, si è cominciato a considerarlo come inserito in un contesto ambientale e sociale. C’è dunque un parallelo molto forte, tra l’arte contemporanea, in cui c’è una relazione attiva tra artista opera e spettatore, e le neuroscienze.

clip_image003La Fontana di Marcel Duchamp (1917)

A livello sperimentale, come avviene lo studio dell’arte?
Gli esperimenti di Zeki non mirano a descrivere in che area del cervello si trovi ‘la percezione dell’arte’ o della ‘bellezza’ ma piuttosto, cercano di identificare il correlato neuronale del sentimento soggettivo di ciò che si avverte come bello. E’ molto difficile impiegare l’arte in un paradigma sperimentale. Per comprendere i meccanismi neuronali correlati all’esperienza estetica non basta certo mostrare a una persona prima le mele di Cézanne, e poi un cesto di mele vere, e osservare la differenza tra le reazioni e tra ciò che si attiva nel cervello, con la risonanza magnetica. Si cerca di concepire degli esperimenti incentrati su domande ai soggetti, senza necessariamente porre al centro l’opera d’arte. In uno di questi, ad esempio, Zeki mostrava ai soggetti fotografie di quadri di ritratti, paesaggi o pitture astratte, chiedendo loro di dare un giudizio sulla bellezza, secondo una scala da 1 a 10. Dopo qualche giorno ripeteva l’esperimento, osservando le attività neuronali dei partecipanti mediante risonanza magnetica funzionale. In questo modo ha potuto identificare i correlati neurali coinvolti nelle loro esperienze.

L’utilizzo di una scala di riferimento per la ‘bellezza’, non potrebbe aver condizionato i partecipanti e quindi aver falsato i risultati?
Sarebbe stato impossibile, senza un simile metro di valutazione, costruire il paradigma sperimentale. La scala è sensata, perché si riferisce a un’esperienza soggettiva: non è pensabile che la bellezza sia un fenomeno unico per tutti. Le opere e gli osservatori sono entità instabili. Le reazioni e l’esperienza di un soggetto possono cambiare a seconda del contesto, dello stato emotivo, delle conoscenze pregresse. Se vai alla National Gallery, puoi rimanere indifferente a un certo quadro, poi ti accorgi che l’autore è Van Gogh, e le tue reazioni cambiano.

clip_image004Vincent Van Gogh, Campo di grano con cipressi (1889)

Come può questa instabilità di fondo dell’esperienza estetica, conciliarsi con uno studio scientifico di questi fenomeni?
La ricerca scientifica si basa necessariamente su semplificazioni, mentre l’arte è forse la manifestazione più evidente della complessità dell’uomo. Proprio per questo l’arte contemporanea può venire in aiuto alle neuroscienze. Noi non cerchiamo la ‘bellezza’, l’estetica o altro, ma come il cervello si relaziona al giudizio personale su qualcosa, come si muove fisiologicamente all’asserire che una cosa è bella o brutta, o all’identificarsi in un dato contesto. Quando ci si mette in gioco, si estrae il significato più valido per sé, e questo vale anche a livello fisiologico. Significato è poi parola riduttiva: vengono estratte emozioni, sensazioni, esperienze. L’arte contemporanea è ormai una grande esperienza. Nella maggior parte delle opere ci si cammina in mezzo, si ascoltano, si toccano. Più che estrarvi un significato lo si vive.
 LEOPOLDO PAPI

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