sabato 8 ottobre 2011

FLAGS BY SARA RAHBAR

SARA RAHBAR. New York.

Sara Rahbar nasce a Teheran, in Iran nel 1976.
A causa della rivoluzione in Iran e l’inizio della guerra tra Iraq e Iran è costretta, insieme alla sua famiglia, a scappare negli Stati Uniti.
Dal 1996 al 2000 studia a New York al Fashon Institute of Tecnology e dal 2004 al 2005 studia a Londra presso il College of Art and Design.

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Dopo aver terminato gli studi universitari, torna in Iran per sviluppare un documentario chiamato “Nessun corpo del nemico”, sulla cultura giovanile iraniana e per seguire le elezioni presidenziali del 2005; è in questo periodo che prende coscienza di quello che diventerà poi il suo lavoro e l’importanza di educare attraverso le sue opere.
Artista donna, iraniano-americana, contemporanea, che spazia dalla fotografia alla tessitura, dall’installazione alla scultura, dal cinema al video. Tutto il suo lavoro verte su argomenti politici, intellettuali, sull’indagine dell’identità personale scissa, poiché trascinata in un paese ospitante, straniero, che rimarrà tale per tutta la vita.
Arte, umanità e identità si fondono per un obiettivo comune, quello di avviare un processo di pensiero, di mostrare un punto di vista diverso secondo lo spettatore.

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L’arte offre la possibilità di interpretare e l’opera di Sara Rahbar, rappresenta la sua prospettiva sulle cose, la sua interpretazione personale. La sua percezione va di là del sesso, della razza, della religione bensì, si focalizza su un’immagine più grande quale la cultura e l’identità degli esseri umani che tentano di sopravvivere in questo mondo.
L’intenzione dell’artista è quella di concentrarsi sulle somiglianze degli esseri umani invece che sulle differenze tra questi.
Viaggia continuamente tra l’America e l’Iran, partecipa a mostre in tutto il mondo e negli ultimi anni, la sua carriera le ha portato centinaia di pubblicazioni e interviste.

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Textile Revolution

L’attività artistica di Sara Rahbar
Le opere di Sara Rahabar possiamo suddividerle in serie, ogni serie è costituita da storie. Sono come libri fatti di pagine raccontate, ogni pezzo di tessuto è una pagina e tanti pezzi insieme formano tante pagine che completano un momento, una storia e un tempo.
Nella serie delle bandiere ogni bandiera è una pagina. Somigliano ad arazzi e sono state create con metodi biologici.
Nel processo della vita, durante ogni viaggio tra Iran e America, questi tessuti hanno preso vigore, sono stati scelti con cura insieme a metalli e altri pezzi unici. A volte un pezzo unico racconta una storia particolare, ma la maggior parte delle volte, queste stoffe comunicano tra loro e creano una grande storia fatta di memorie.

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Le bandiere raccontano la storia di Sara Rahbar, la sua vita, i suoi viaggi, la fuga dalla guerra e l’approdo in America che rappresenta il rifugio, un paese sponsorizzato da tutti, in cui il consumo è di massa e in cui vige il caos. E poi il ritorno in Iran dove invece i beni primari quali il cibo e l’acqua, sono beni di pochi e dove la povertà è all’ordine del giorno.
Queste bandiere hanno colori, simboli e forme così strane, ma ciò che è ancora più strano, è il valore che noi diamo ad esse. È difficile raccontare il lavoro di Sara Rahabar attraverso parole, lei si muove secondo istinti naturali seguendo con attenzione ciò che la circonda.

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Non tutti riescono a leggere l’esatto messaggio contenuto nella rappresentazione delle sue opere e questo non è così importante, ciò che ha valore è la creazione dell’opera stessa, il resto è compito di altri. Il suo lavoro viene da dentro, dal profondo, si tratta di concetti, colori e immagini che insieme formano un processo mentale che non si può vedere, ma si può solo percepire.
I primi lavori sono stati eseguiti con materiali selezionati, provenienti da luoghi rappresentanti la sua origine culturale, come fosse un tentativo di familiarizzare con una bandiera e il suo significato simbolico; ben presto il suo lavoro si è ingrandito è andato oltre questa visione.

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La prima risposta emotiva alla v isione di una bandiera americana, fu per l’artista una sensazione di rabbia ora invece, è diventata curiosità e quasi un’ossessione.
Molti ricordi la stringono al passato, il trasferimento in America, la difficoltà con la lingua, i primi giorni di scuola e proprio ad uno di questi giorni è collegato il suo primo approccio con la bandiera americana, quando in classe, si rifiutò di porre il saluto abituale alla bandiera.
Quel momento è vivo in lei, in un tempo in cui l’ignoranza verso il Medio Oriente è all’eccesso, in cui le persone sono convinte che l’Iran e l’Iraq siano lo stesso paese e che il Medio Oriente sia formato solo da arabi.

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La guerra è un modo per far conoscere la geografia agli americani (W. Churchill) è una frase che, secondo Sara, non si smentisce; la maggior parte delle persone sono un riflesso del luogo in cui vivono e apprendono le influenze secondo la loro ubicazione geografica.
I politici, i mass media, i sistemi d’istruzione, sono fattori da tenere in considerazione quando si osservano le persone. Non ci sono vittime, i limiti stanno nelle mani delle persone che non vogliono guardare oltre ciò che gli si fa vedere.

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Quando avvennero i fatti dell’11 Settembre, si respirava paura tra le strade americane; Sara Rahbar e altri che non esposero la bandiera americana fuori dalle proprie abitazioni, ricevettero minacce. Ci fu il terrore per il popolo iraniano e vennero meno diritti come la libertà degli individui.

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Viviamo in una società costituita da “etichette” afferma Sara Rahbar, una società in cui luoghi comuni e marchi, portano solo alla separazione tra gli esseri umani, provocando inutili spazi vuoti tra gli individui. Non crede alla devozione verso una bandiera, una religione o uno stato infatti, attraverso il suo lavoro, cerca di eliminare tutto questo, poiché etichettare è solo un modo per avere maggiore sicurezza di sé. L’uomo ha bisogno di definire tutto, ha paura del buio, paura di non poter controllare ciò che lo circonda, la soluzione a questo è dare nomi, definire, dividere in marchi, in luoghi comuni, è sottolineare categorie e gruppi.
Tutto ciò è corretto nel momento in cui si tratta di cose, ma quando parliamo di persone, il problema si fa complesso. Definizioni, simboli, malintesi e obsolete menzogne hanno creato muri, come meccanismi di difesa
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L’artista tende ad eliminare queste differenza, la sua arte è la vita, è un sommarsi casuale di cose, non ha subito influenze di un gruppo specifico di artisti, ogni nuova idea porta ad un grande nuovo lavoro.
Il fatto di essere nata in Iran e cresciuta in America, gioca un ruolo importante nel suo impegno, cerca di unire insieme le culture, poiché siamo fatti tutti di carne e ossa, siamo tutti esseri umani e il resto è solo il nostro stile di vita che preferiamo. Dichiara che bisogna fermare gli ostacoli tra i singoli, perché sono proprio queste barriere che portano guerra e divisione. Viviamo in un mondo strano, pieno di maschere e filtri e quando abbassiamo la guardia, ci scopriamo soggetti vulnerabili e simili l’uno con l’altro.

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Quando l’artista osserva una bandiera, vede solo un tessuto ma, se rivolge lo sguardo più profondamente, percepisce che essa rappresenta un senso di sé, un mondo perso nel disagio e nella sofferenza. La bellezza, sta nell’osservare più tessuti, più bandiere unite tra loro per creare un’unica identità più forte. È la sua soluzione a questo mondo, è la sua capacità di legare gli individui, questo è il suo modo di esprimersi.

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L’arte di Sara Rhabar non cambierà il mondo, non cambierà punti di vista, ciò che è certo è che porterà un miglioramento, un frammento alla volta, costruirà un processo di pensiero. Non c’è spazio per l’ironia, c’è la voglia di coinvolgere le persone a dialogare a spostare lo sguardo lontano da definizioni come maschio, femmina, ebreo, arabo, americano, iraniano e dunque voltarsi verso un’immagine più ampia.

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