lunedì 26 ottobre 2009

NÉ DANS LA RUE - GRAFFITI

Pennarelli e bombolette spray per tappezzare vagoni dei treni, pareti dei metrò, mura delle città. Per modificare il paesaggio urbano e ridisegnarne il decoro, rendendo lo spazio pubblico in sintonia con uno nuovo stile di vita.

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Nei tardi anni Sessanta nella New York della crisi, ma anche d'importanti conquiste sociali, i graffitari non avevano vita facile. Considerati comuni delinquenti senza fede e senza legge, venivano ricercati da squadre di poliziotti nell’intento di mettere fine a uno scempio senza precedenti che faceva gridare all’orrore i benpensanti e travasare dalle casse delle amministrazioni comunali fiumi di dollari per ripristinare la “decenza” oltraggiata.
Tuttavia, malgrado gli sforzi, nulla riusciva a fermare quell'infernale gruppetto di ragazzini provenienti da comunità operaie di origine ispano e afro-americana. Furono proprio loro, sostenuti dalla volontà di emergere per compensare quella mancanza d’integrazione che li collocava ai margini, a diventare i protagonisti di una vera e propria controcultura, così innovativa da entrare in seguito perfino nei santuari ufficiali dell’arte contemporanea. Personalità di spicco del panorama di Soho, allora in pieno fermento, sede di mitiche gallerie d’arte newyorchesi, enclaves chiusissime, incuriosite e attratte prendevano spunto per lanciare sul mercato trend innovativi.
Parliamo degli artisti di strada, dei writers, spesso derisi e poco apprezzati, certamente ostacolati. Così mentre Milano dichiara guerra alla Street Art, a Parigi si è aperta una grande mostra che ne ricostruisce il percorso storico-antologico. Allestita alla Fondation Cartier pour l’art contemporain (261, bld Raspail, chiuso il lunedì, orario 11-20; fino al 29 novembre) è intitolata Né dans la rue - Graffiti (catalogo Acte Sud, 242 pagine con 460 illustrazioni a colori e in b/nero, 38,50 euro).
Nella varietà di firme, stili, influenze e tecniche che la caratterizzano vi sono i nomi dei principali pionieri newyorchesi: P.H.A.S.E. 2, Part 1, Seen, solo per citare alcuni nomi, coloro che furono gli artefici del movimento e alcuni dei maggiori protagonisti della scena di oggi come Evan Roth, Vitché, Nugn. Un omaggio speciale la Fondation Cartier l’ha riservato a Jean-Michel Basquiat e a Keith Haring, anche loro in un certo modo nati nella strada, le cui opere però hanno avuto un destino diverso entrando nell'olimpo del giro internazionale dellarte con la A maiuscola. Ogni sezione è arricchita da film, fotografie e opere murali di artisti provenienti da tutto il mondo che ne testimoniano la vitalità creativa.
Sono passati quarant’anni da quando a Manhattan, nel Bronx e a Brooklyn un gruppo di quindicenni comincia a riprodurre con grossi pennarelli i propri pseudonimi accompagnati dal numero della strada in cui abitano: Julio 204, Taki 183, Joe 182 e così via. Il gruppo si fa sempre più numeroso ed esce dagli stretti confini del quartiere per espandersi in tutta la città. Mezzo di comunicazione è il metrò e le carrozze dei convogli ricoperte interamente di disegni diventano l’oggetto di maggior visibilità. Così a partire dal 1971 ai numeri e alle firme dei primi graffitari si affianca una produzione più complessa. Sempre in condizioni di clandestinità, limitati nei movimenti, e forse proprio per questo motivo, i writers sviluppano nella velocità di esecuzione una grande tecnica. E attingendo ai personaggi dei fumetti e a motivi più elaborati fanno colpo su un pubblico più selettivo.
New York s’inchina alla non arte innalzandola a oggetto di culto in un metissage di razze e di contenuti che spazia dalla musica pop ai movimenti per i diritti civili e per la liberazione della donna. Anni difficili ma di speranza in un mondo migliore.
In un vecchio filmato si sente Woody Allen dichiarare a proposito dei graffiti: sono geniali, interessanti, palpitanti. Oramai la loro fama cattura l’attenzione dei media e dei galleristi i quali invitano i graffitari a dipingere su tela. Le grandi superfici colorate con gli spray, proprio di quegli stessi giovani imbrattatori di spazi pubblici, influenzano perfino l'Arte, suggerendo più libertà nei rigidi schemi accademici

di Giuseppina Rocca

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