La magica arte di Israel Galvan
grande "bailaor" di sangue gitan
Fate tabula rasa. Cancellate tutto quello che avete scritto nella testa e nel cuore, e riscrivete di nuovo. È il principio della meditazione: creare silenzio in noi per ascoltare il ritmo del respiro, la cosa che ci lega alla vita, la nostra verità.
Da questo principio è partito Israel Galvan, il "bailaor" che da più di dieci anni sta rivoluzionando il flamenco, per creare uno spettacolo strano, intenso come Tabula rasa (dal 12 al 15 novembre al Palladium per il Romaeuropa Festival).
«La verità è che nel flamenco ci sono due rami, due differenti linguaggi», dice Galvan. «Un "payo" non canta come un gitano, ha proprio un altro tipo di voce. E i gitani ballano in modo diverso, hanno un altro tipo di movimento. Io lavoro con "payos" e con gitani. Essere le due cose insieme mi dà più fiducia in me stesso. Sento questa passione che mi scorre dentro, è come una violenza. Ho bisogno di stare con i gitani, ho bisogno della loro energia per potermi identificare».
Del "payo" Antonio Gades, Galvan ammira il lavoro («Ha fatto una cosa che non esisteva: ha teatralizzato il "baile", ha portato il flamenco nei teatri, quindi la Spagna in tutto il mondo»), ma le drammaturgie, le Nozze di sangue, non fanno per lui. Dei suoi ricordi, di ossessioni e fantasmi Galvan riempie silenzi e spazi vuoti. Non si considera un lettore: «Diciamo che mi piace conoscere i libri. La letteratura l´ho incontrata per caso. Ho preso un libro e ci sono caduto dentro». In casa si leggeva (e si continua a leggere) soltanto la Bibbia, quella dei Testimoni di Geova. Però dalla letteratura sono nati spettacoli come Las metamorfosis da Kafka, e Arena perché «la letteratura taurina è vasta. Mi hanno ispirato la biografia del torero Juan Belmonte, ma anche Lorca, Dali, il Chisciotte».
Tabula rasa è uno spettacolo del 2006. È diviso in tre parti nette: nella prima c´è un pianista, Diego Amador (anch´egli di una celebre famiglia del flamenco) che suona la sua musica. Poi le luci si spengono sul pianista e appare una "cantaora", Ines Bacan, anche lei sola in scena e senza accompagnamento musicale. Alla fine arriva Israel Galvan che danza nel silenzio («È il mio posto, è dove mi sento meglio e mai solo. Ho i miei ricordi e una assoluta libertà fisica»), prima della riunione con Amador e la Bacan. «All´inizio scompongo l´unità, alla fine la ricostruisco. Quando il pianista esce di scena, la cantante entra nelle sue tracce e, subito dopo, io entro nelle sue». Ognuno interpreta il flamenco a suo modo e la più "rispettosa" è la cantante: il piano non è uno strumento del flamenco («ma Diego Amador lo suona come fosse una chitarra") e nella danza di Galvan, se pur "aflamencada", i riferimenti sono infiniti.
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